ALFREDO MANTOVANO

RESPONSABILE DI A.N. PERI PROBLEMI DELL O STATO


AN, linea politica e mobilità del voto

Ecco perché Gianfranco ha ragione


Articolo comparso sul Quotidiano di Lecce il 22 giugno 1999

Dopo la Direzione Nazionale del Plaza, AN si avvia a diventare un Partito radicale-bis? Non avremo più una destra doc, ma un movimento referendario privo di identità e di stabilità? La linea politica di Fini è destinata a rompere il Polo? O si tratta esclusivamente di un regolamento di conti interno, rispetto al quale le scelte politiche rappresentano un pretesto? O ancora, è il segnale - come ha sostenuto Marcello Veneziani nell'intervista di domenica a Quotidiano e come scrive Baget Bozzo - della paura di tornare nel ghetto e del contestuale desiderio di rinnovata legittimazione? Per rispondere è necessario prescindere da logiche di correnti, che indubbiamente condizionano le posizioni dei singoli e le interpretazioni, ma che non spiegano la novità della proposta avanzata al Plaza. E' più utile prendere le mosse dai risultati delle Europee, ma anche da quel tipo di analisi del voto che cade sotto la voce "flussi elettorali": un'analisi sconosciuta fino a una decina di anni fa, e che invece si è progressivamente affermata fino a occupare le pagine centrali dei giornali.

Fino al 1989 i flussi elettorali non interessavano per la semplice ragione che non esistevano. Il mondo antecedente la caduta del Muro manteneva la divisione in blocchi non solo fra Est e Ovest, ma anche nelle nazioni occidentali connotate da una forte presenza di partiti comunisti; in quest'ottica, l'Italia era certamente la nazione più significativa: con variazioni nell'ordine di centesimi, ogni consultazione elettorale ripresentava il medesimo scenario di forze politiche ciascuna delle quali - penso, ovviamente, alle 4 o 5 più importanti - manteneva la posizione. Chi abitualmente votava per la Democrazia cristiana poteva anche condividere aspetti significativi dell'azione politica del Partito comunista italiano - poteva, per esempio, essere abortista -, ma non osava, tranne limitate eccezioni, dare il voto alla falce e martello, per non correre il rischio di trovarsi l'Armata rossa sotto casa; lo stesso accadeva a parti invertite. L'identico meccanismo di blocco dei voti in entrata e in uscita funzionava per il Msi: in entrata, poiché chi aveva simpatie per la destra ma aveva il timore di indebolire la "diga", comunque votava DC; in uscita, perché una realtà che per anni si è definita alternativa non già al governo, bensì al "regime", è coincisa con una sorta di "contro-mondo", al cui interno avevano posto cattolici, nazionalisti, socialisti nazionali, e perfino personaggi con simpatie radicali, il cui comune denominatore era il richiamo al passato, talora soltanto nostalgico, talora anche teorizzato.

La caduta del Muro libera progressivamente il corpo elettorale, e al tempo stesso frantuma le resistenze e le remore: se, avendo votato per una vita lo scudocrociato, oggi preferisco la sinistra, posso farlo senza pormi problemi, tanto l'Armata rossa non c'è più! Il medesimo discorso vale per chi intende votare a destra, in assenza del ricatto dell'indebolimento della diga democristiana. Identico discorso vale, ancora, per chi, avendo sempre votato per il Msi, si sente liberato dall'obbligo di fedeltà, e preferisce le forze politiche, radicali inclusi, più prossime ideologicamente. Il percorso, del quale si intravedevano i germi alle elezioni politiche del 1992, si è manifestato con pienezza alle elezioni del 1994, ed è continuato, fino a raggiungere l'apice alle Europee del 1999. Il dato più rilevante di queste ultime è la scoperta, nella sua interezza, della mobilità elettorale: confrontando i numeri delle Europee con quelli delle politiche del 1996, si scopre che i partiti con gli elettori più stabili sono Forza Italia (il 66% dei votanti per FI del 1996 hanno confermato il voto nel 1999; poi se ne sono aggiunti degli altri) e i DS (65%). Fra i meno stabili, la Lega (30%) e Alleanza Nazionale (40%): quest'ultima cede il 23% dei propri voti in favore della Lista Bonino.

Se questo è vero, chi oggi sostiene, dentro e fuori AN, che la destra italiana deve mantenere la rendita di posizione derivante dall'essere nulla di più che la destra del Polo punta oggettivamente, al di là delle intenzioni, a un destino di ulteriore decremento di consensi; se il 13 giugno la rendita di posizione è stata del 40%, fra un anno si ridurrà ulteriormente. Ciò vuol dire forse - come hanno affermato in tanti - annacquare il patrimonio ideale e perdersi in un'imitazione dei radicali? Per rispondere va ripresa la distinzione, enunciata da Fini venerdì scorso, fra identità e progetto. L'identità di AN è quella di Fiuggi e di Verona: è una identità di destra come piace a Veneziani, che per le tesi di Fiuggi ha avuto qualche voce in capitolo, e a Fisichella, che, dopo aver collaborato in modo determinante a Fiuggi, ha costruito l'ossatura di Verona. Si dà il caso, però, che a un partito con una sua precisa e non discussa identità corrisponda un elettorato instabile, che cambia orientamenti di voto in modo consistente da una consultazione all'altra; può piacere o dispiacere, ma è un dato oggettivo. Come riuscire a far sì che l'identità si articoli in un progetto politico, e che questo raccolga una quantità di consensi sufficiente a supportarlo? E' l'interrogativo, e al tempo stesso la sfida, cui ha cercato di rispondere la tre-giorni del Plaza.

Volendo raccogliere la provocazione, più che un "partito radicale", si tratta per la destra italiana di costruire un partito "alla radicale". Mi spiego: AN ha una precisa fisionomia di valori (è per il diritto alla vita, l'integrità della famiglia, la difesa della nazione…) e di obiettivi politici (persegue il presidenzialismo, il bipolarismo, la trasparenza della politica…); ciascuno di questi cardini programmatici rappresenta un coagulo attorno al quale costruire un consenso, in Parlamento o nella nazione. Sul coagulo della tutela della vita dalle manipolazioni genetiche AN ha contribuito in modo rilevante alla costruzione di uno schieramento di forze alla Camera che non corrisponde allo schema maggioranza-opposizione, dal momento che si è trovata di fianco il Ppi e la Lega (mentre una parte di FI si è dissociata): eppure questa modalità operativa le ha consentito di ottenere dei risultati importanti, senza mutare di identità (anzi, esaltandola), nonostante i compagni di strada, e senza rompere il Polo. E allora, perché mai su temi di rilievo istituzionale quali il rafforzamento del maggioritario, con l'abolizione della quota proporzionale, e l'abrogazione della legge sul finanziamento dei partiti, AN non può agire allo stesso modo, collaborando con quelle forze referendarie che da qualche settimana stanno già raccogliendo le firme? Perché non immaginare per il futuro iniziative similari, per le quali i compagni di strada possono essere, al posto dei partiti, categorie professionali o rappresentanti di interessi diffusi (si pensi, per fare un esempio attualissimo, alla sacrosanta rivolta dei medici contro il decreto-Bindi sulla riforma del sistema ospedaliero)?

Dunque, nessun nuovo "partito radicale", ma un partito certamente di destra, che non rinnega l'identità costruita a Fiuggi e a Verona, e che al contrario si sforza di tradurla in pratica; per questo l'impegno si articola a 360°, e non esclude strumenti da sempre adoperati dai radicali, come la raccolta delle firme. Non un partito proteso a raccogliere gli umori e a tradurli in linea politica: quella di AN oggi non è un'operazione di marketing, bensì uno sforzo teso a intercettare flussi di voto vaganti e a condurli sui propri obiettivi. I flussi - è bene esserne consapevoli - sono vaganti per tutti: l'elettore che oggi si è rifugiato in FI in cerca di stabilità non resterà per cinquant'anni a posare per una foto di gruppo; da almeno un decennio la raffigurazione della politica ha visto la foto sostituita dal filmato. E non è una moviola: è una pellicola accelerata, che va seguita con attenzione costante. Chi, dentro e fuori AN, condivide la linea di Gianfranco Fini ne condivide pure la presunzione di non ritrovarsi con una foto ingiallita in mano. Lo sforzo dei prossimi giorni è far sì che il confronto con i dirigenti, con i quadri intermedi, con la base, ma soprattutto con i nostri potenziali elettori, si articoli più sull'analisi dell'evoluzione politica che sulle contrapposizioni fra i gruppi e sui personalismi a ogni costo.

 

Alfredo Mantovano

Responsabile di Alleanza Nazionale per i problemi dello Stato