ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Poliziamoderna
MENSILE UFFICIALE DELLA POLIZIA DI STATO
(Sezione: attualità            Pag.   18 - 21   )
gennaio 2004

di Annalisa Bucchieri

 

Pentiti, fuori dal limbo

 


Palermo, anni '80. Sulla sedia di fronte ai giudici Falcone e Borsellino, alcuni collaboratori di giustizia rilasciano dichiarazioni chiave che porteranno a infliggere ergastoli ai boss della "cupola". Sembrano lontani, tempi del maxiprocesso di Cosa Nostra che sancì la figura del "pentito" come una valida fonte investigativa e processuale, la chiave risolutiva per capire la mafia e scardinarla dal suo interno.

Oggi il pentitismo è sul viale del tramonto. Una fase storica che si è consumata naturalmente o, come sostiene una parte della magistratura, è stata spenta prematuramente dai cambiamenti apportati dalla legge n. 45 del 2001?

A due anni dall'approvazione della nuova normativa è possibile tentare una riflessione con il sottosegretario al ministero dell'Interno Alfredo Mantovano, presidente della Commissione sui programmi di protezione per i testimoni e collaboratori di giustizia, alla cui guida figura fin dal momento della sua istituzione (vedi box) nella legislatura in corso.

"Dovrei fare un bilancio più che una riflessione, in quanto la Commissione è un organo amministrativo che gestisce gli aspetti di assistenza e di tutela; non ha il compito nè di proporre l'entrata in programmi di protezione né di giudicare la qualità delle collaborazioni, la cui competenza spetta invece all'autorità giudiziaria. Ci troviamo in una situazione singolare, di confine: da un lato abbiamo il limite, appena segnalato, derivante dalla natura amministrativa dell'organo, dall'altro siamo comunque chiamati dalla legge a verificare se la collaborazione è nuova e attendibile. Sulla base degli atti che passano sotto il vaglio della Commissione, il mio parere è che attualmente non esista un livello medio di collaborazioni comparabile con alcune, particolarmente significative, registrate nel passato. Se si dovesse disegnare una geografia del pentitismo, la Puglia risulterebbe la fonte attualmente più interessante. Ma è da considerare che il peso specifico della Sacra Corona Unita è minore rispetto a quello di Cosa Nostra, 'Ndrangheta e Camorra, e di conseguenza anche l'importanza dei suoi pentiti".

Rimane però accesa la polemica sull'effetto disincentivante della legge 45/2001. Una legge severa che ha ristretto il criterio di ammissione al programma di protezione solo ai casi di testimonianza su reati gravissimi e che prevede la spoliazione del pentito dei beni posseduti illecitamente per poter essere inserito nel programma di protezione. Racconta l'onorevole Mantovano: "Questa indicazione normativa normalmente non trova applicazione; non può escludersi che ciò avvenga perché l'aspirante collaboratore potrebbe tornare indietro per timore di perdere le proprie ricchezze. Quando ci sono chiari segnali che il soggetto in questione ha accumulato tanti beni (è impossibile pensare che uno che è stato cassiere per una holding della droga o che ha un parco macchine considerevole sia nullatenente), la Commissione chiede ulteriori informazioni per valutare l'ammissione. Puntualmente arrivano fascicoli con dichiarazioni secche di non possidenza. Eppure questo nuovo obbligo fissato dalla legge non va visto solo come un deterrente alla collaborazione, ma come una garanzia della sua serietà. Altrimenti il pentitismo rischia di diventare il mezzo con cui continuare a godere del frutto del proprio disonesto lavoro".

La legge 45 se da una parte pretende meno opportunismo, dall'altra non compensa neanche con lo zuccherino dello sconto di pena e della sussistenza ad libitum. Un maggiore rigore che tradotto in termini economici significa per la Commissione evitare sprechi di denaro per l'assistenza, la tutela e il reinserimento sociale di comparse minori. Ma anche la fine delle crociere e dei lussi imbarazzanti di cui in passato godevano i pentiti d'oro. Un punto su cui insiste l'onorevole Mantovano. Da tempo non ci sono liquidazioni miliardarie. Però non vi sono neanche più liquidazioni da miseria. Ad un certo punto, infatti, si era passati da un estremo all'altra. Ora la situazione è equilibrata. Viene fatto un calcolo ancorato a parametri oggettivi, alla stregua dei quali vengono corrisposti gli assegni mensili e vengono determinate le capitalizzazioni. Grazie a questo accorgimento nell'ultimo biennio si è registrato un calo netto delle spese dell'intero sistema di protezione del 32 per cento; il risparmio è stato ottenuto anche perseguendo la razionalizzazione degli oneri per la difesa e l'aumento delle capitalizzazioni. Sebbene queste ultime comportano un esborso immediato (una sorta di liquidazione per consentire l'avvio di un nuovo lavoro), in realtà producono un vantaggio economico alla distanza, perché non viene più corrisposto l'assegno di mantenimento".

In sostanza il governo dà una stretta ai cordoni della borsa ma non li annoda del tutto. Preferisce impiegare le risorse monetarie più per il reinserimento nel mondo del lavoro e meno per gli stipendi a vita, per evitare che collaborare equivalga ad un moderno e poco nobile campare di rendita. Secondo il suo presidente la linea di rigore della Commissione non ha prodotto alcuna dissuasione al pentitismo. "Basta guardare le cifre per verificare che non ci sono state contrazioni di sorta, anzi. Dall'ottobre 2001 all'ottobre 2003 le nuove ammissioni di collaboratori sancite dalla Commissione sui programmi di protezione sono state 276 (102 in più rispetto al biennio precedente); mentre le capitalizzazioni, cioè i provvedimenti che segnano la conclusione di un programma con l'inserimento socio-lavorativo del collaboratore, sono state 362, a fronte delle 83 del biennio precedente".

Ma in realtà i numeri più positivi sono quelli relativi all'incremento dei testimoni: 48 persone, cioè 34 cittadini in più rispetto al biennio precedente, che hanno fatto una scelta coraggiosa e di alto senso civico. È questa la cartina tornasole della fiducia verso il sistema di protezione ed è esattamente questo il risultato che si voleva prefiggere il Legislatore con la riforma tanto discussa. "Finora nell'immaginario collettivo il testimone di giustizia veniva considerato il primo danneggiato dalla testimonianza. Oggi la legge 45 prevede che la Commissione concentri maggiori risorse per il testimone invece che per il pentito. Cosicché per una persona onesta che ha assistito o è stata vittima di gravi atti criminosi, entrare in un'aula di tribunale non sia più un salto nel vuoto. E uscirne non significhi l'inizio di una vita di isolamento e nascondimenti". Ecco perché la Commissione porta come fiore all'occhiello della sua attività la crescita dei reinserimenti socio-lavorativi per i testimoni di giustizia (35 in questo biennio a fronte dei 25 attuati prima dell'applicazione della legge 45). Naturalmente le incombenze della Commissione per la capitalizzazione non si fermano a un esborso di denaro, ma comportano la creazione di una nuova identità, la ricostruzione di un passato ex novo sia per il soggetto coinvolto che per la sua famiglia. Attraverso un percorso concordato, si fa in modo che l'attività di lavoro prosegua al più presto nella località nella quale ci si è trasferiti, in condizioni non deteriori rispetto a quelle originarie. Spiega Mantovano: "Cerchiamo di inserirli in posti tranquilli, dove non vi sia un grande movimento di persone, che potrebbe comportare incontri sgraditi. In un paio di casi, su richiesta degli interessati, si è evitato il trasferimento in località protetta. Per noi ciò comporta un incremento dello sforzo di tutela, cioè degli uomini che continuino a proteggere il testimone, ma è una scelta esemplare che va incoraggiata. Restare al proprio posto rappresenta la migliore contestazione, nei fatti, alla pretesa della mafia di controllare il territorio. Una di queste persone tra l'altro è anche a capo di un'associazione antiracket della città. Doppiamente lodevole quindi". Sebbene in molti casi costretti a sradicarsi dal luogo d'origine, la maggior parte di questi cittadini non desidera cambiare le proprie generalità. Al contrario dei collaboratori di giustizia, per i quali però non è sempre possibile creare una nuova identità. "Spesso - spiega il sottosegretario all'Interno - grava su di loro l'interdizione dai pubblici uffici che il cambio d'identità cancellerebbe come un colpo di spugna. Per cui si sta lavorando su un nuovo regolamento che permetta la variazione del cognome senza amnistie indesiderabili". Sicuramente il reinserimento per entrambi i casi, testimoni e collaboratori, è la fase più delicata, e quella dove si rende tangibile il riconoscimento dello Stato verso chi si è dimostrato disposto ad aiutare la giustizia. Perciò si spera che il recupero di situazioni che si trascinano inutilmente da anni nel limbo del programma di protezione sia rapido e liberi queste vite pirandelliane dalla loro indefinitezza sociale.


La Commissione per i programmi di protezione è stata istituita dal decreto legge n. 8/1991 e confermata dai successivi interventi legislativi che hanno delineato il sistema di protezione: l'ultimo intervento del Parlamento è stata la legge n. 45/2001, che ha reso più rigorosi i criteri per l'accesso al programma, e ha definito in modo netto il confine fra la competenza dell'autorità giudiziaria e quella della Commissione. Quest'ultima è costituita con decreto dei ministri dell'Interno e della Giustizia, è presieduta da un sottosegretario dell'Interno (attualmente l'onorevole Alfredo Mantovano), ed è composta da due magistrati e da cinque appartenenti alle forze di polizia con specifiche esperienze nel settore. Il suo compito consiste nel valutare le proposte dell'autorità giudiziaria per inserire nella protezione i collaboratori e i testimoni di giustizia, e definisce, caso per caso, le modalità del programma; nel seguire l'attuazione del programma, modificandolo sulla base delle necessità; nell'accompagnare la conclusione del programma a misure di concreto reinserimento sociale e lavorativo. Il Servizio centrale di protezione, inserito nel Dipartimento della pubblica sicurezza (Direzione centrale della polizia criminale), attua le decisioni della Commissione.


 

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