ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su MESSAGGERO
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Mercoledì 26 Febbraio 2003

RENATO PEZZINI

IL TAM TAM SUI BINARI

Radio, fax e vedette: così si organizza la protesta

Il passaparola decisivo nel boicottaggio dei treni. Casarini: «Cambiano percorso? Noi siamo pronti»


dal nostro inviato

DOLO (Venezia) - Piccole vedette, ferrovieri disobbedienti, popolo dei fax, semplici viaggiatori. Di questo è fatta la rete che si organizza per boicottare il passaggio dei "treni della morte": «Abbiamo un piano segreto per farli transitare ugualmente» fa sapere il sottosegretario Mantovano. «Ma il piano segreto ce l’abbiamo pure noi» replica Luca Casarini, uomo-ovunque dei no global veneti «I treni non passeranno».

E così, in attesa di qualche altro «carico di morte» da rallentare, i pacifisti del nord-est offrono un nuovo piccolo saggio della loro strategia a Dolo, stazioncina sperduta nella campagna fra Mestre e Padova. Qui non devono passare convogli americani, però c’è il ministro Lunardi che viene ad annunciare, con tanto di convegno e rinfresco per gli ospiti, il raddoppio della linea Venezia-Verona: «E noi siamo venuti a rovinargli la festicciola».

Scendono in cinquanta, alle 11 del mattino, dal locale per Padova, sventolano i biglietti comperati a Mira, si spintonano un po’ con la polizia e per un paio d’ore rimangono lì, sulla banchina della stazione, mentre Casarini lancia slogan al megafono e sbeffeggia Galan, presidente del Veneto: «Di lui non parliamo, tanto non conta un c...». Un’ora di blocco per quattro treni in transito, poi torna tutto normale: «Ma il bello arriva domani. Concentramento alle 11, a Grisignano».

Grisignano è a metà strada fra Padova e Vicenza. Ed è il punto esatto da cui si dirama la rete che vuole boicottare i trasporti del materiale bellico statunitense. Per ora, qui, non c’è nulla di strano, salvo una bandiera della pace che sventola sulla banchina della stazione, un paio di poliziotti in borghese che guardano a vista tre pacifisti, e tre pacifisti (due professoresse e un impiegato) che guardano a vista un treno merci fermo sui binari più lontani. Lì di solito vengono caricati i convogli diretti a Camp Darby. Ma oggi non c’è nessun movimento, e non sembra che gli americani abbiano intenzione di far partire un altro dei loro venti treni che mancano all’appello: «Noi stiamo qui ugualmente. Se si muove qualcosa, diamo l’allarme». Non importa a chi arriva l’allarme. Importa che a Padova, nelle stanzette di Radio Sherwood, la notizia arrivi presto e venga diffusa in fretta. Al resto ci penseranno quelli della rete. Che da parecchi paesi e paesini attraversati dalle ferrovie che dal Veneto arrivano in Toscana hanno già dato la disponibilità a entrare in azione. Sono attivisti dei centri sociali, sindacalisti, militanti di associazioni cattoliche. Telefonano, scrivono, chiamano per dire di voler fare qualcosa. E qualcosa faranno, senza doversi necessariamente stendere sui binari. Perché ci sono espedienti alternativi per rallentare la corsa dei treni. E a diffonderli sono molti "ferrovieri disobbedienti" che continuano a indicare strategie nuove. A Radio Sherwood, per esempio, seguitano ad arrivare istruttive e-mail dedicate ai tanti modi per far scattare i semafori rossi con il semplice uso di un temperino, e bloccare -almeno per un po’- i convogli. Poi ci sono vedette sparse dappertutto, che da qualche giorno studiano i possibili percorsi alternativi dei treni, che tengono d’occhio i binari morti dove spesso viene parcheggiato il materiale bellico. Grazie a loro, per esempio, lunedì notte si è saputo che uno dei due treni partiti da Grisignano e fermato strategicamente nella campagna mantovana si stava muovendo per Pisa.

Tutto pronto, dunque, ammesso che dopo le manifestazioni previste per oggi, Trenitalia ed esercito americano non decidano di cambiare strategia e mutare il percorso dei treni: «Ma anche se lo faranno, siamo pronti» fa sapere Casarini. I suoi osservatori triestini hanno notato "movimenti strani" al confine fra Italia e Slovenia: «Il loro piano B l’abbiamo già smascherato. Vogliono far arrivare le armi in Turchia passando per l’ex Jugoslavia, la Romania e la Bulgaria. Li fermeremo anche lì». E se non ci riusciranno in Italia, ci proveranno all’estero. Il movimento "globala" di Lubiana (Slovenia) è allertato. Con Bucarest e Sofia sono in corso contatti. Se non bastasse, c’è l’altra opzione tattica che Casarini ha battezzato «un freno alla guerra». Si tratta, semplicemente, di salire su un treno, e magari in aperta campagna tirare la leva del freno di emergenza. Due sconosciuti l’hanno già fatto lunedì sera. I più non sono d’accordo visto che non serve a bloccare il trasporto bellico: ma fa rumore lo stesso.


 

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