ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
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Mercoledì 12 Gennaio 2005

C.Man.

LA POLEMICA

 

 Il pg: «I terroristi reclutati nelle moschee»

Le associazioni islamiche replicano: se li ha, il Procuratore faccia nomi e cognomi  


 

ROMA - Alcuni luoghi di incontro della comunità islamica in Italia sono utilizzati, oltre che per l'attività di supporto e sostegno al terrorismo internazionale, «anche come osservatori per l'individuazione di possibili reclute». Il procuratore generale della Cassazione lo evidenzia nella sua relazione. E come previsto le reazioni dal mondo islamico non tardano ad arrivare. Esiste un «incremento delle minacce contro il nostro Paese». E nella strategia di propaganda terroristica, segnala il Pg, «qualche preoccupazione desta il sospettato coinvolgimento di taluni religiosi». Le associazioni terroristiche transnazionali, rileva ancora, «presentano caratteristiche ben diverse da quelle tradizionali, che le rendono più sfuggenti e meno permeabili alle indagini. Esse, strutturate in forma non rigida né gerarchica, operano con cellule disseminate sul territorio che fungono da strutture di servizio e agiscono, con grande mobilità, nell'ambito di una rete transnazionale del terrore in cui sono superate le stesse identità etnico-nazionali». Le cellule italiane, ad esempio, sottolinea, «sono specializzate nella produzione di documenti falsi: si tratta di attività che costituisce strumento essenziale per consentire all'organizzazione di far spostare con tranquillità i propri associati in ogni Paese e di portarli al momento necessario sul luogo degli obiettivi».

Un allarme che, secondo il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, «confermano le indagini svolte negli ultimi anni in varie città italiane e puntualmente registrate dalle relazioni dei corpi di polizia e dei servizi, su cui più volte il Viminale ha richiamato l'attenzione». Ma che è stato respinto dalle associazioni islamiche in Italia che accusano il Procuratore di non conoscere la realtà musulmana e gli chiedono di fare, se li ha, nomi e cognomi di terroristi e reclutatori. Il primo a replicare è il portavoce del centro culturale islamico di Roma, Mario Scialoja, che non esclude la possibilità di «incontri fuorilegge» all'insaputa dei vertici delle moschee, sottolineando però che queste sono «soltanto luogo di preghiera e di incontro, che svolgono una funzione sociale». Più duro il presidente dell'istituto culturale islamico di viale Jenner a Milano (moschea al centro di diverse indagini) Abdel Hamid Shaari. «Su di noi è stata cucita una cattiva fama - sottolinea - ma troppo spesso si confondono i luoghi con le persone che li frequentano».


    

 

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