ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MATTINO
(Sezione:     Pag.     )
Martedì 7 Gennaio 2003

MARIA CHIARA AULISIO

 

«È stata un’aggressione Sbagliato attaccare la polizia»


 

Sarà a Napoli il 16 gennaio. Qui in città per partecipare a un incontro studi sui collaboratori di giustizia, ma anche per incontrare il questore e il prefetto con cui è quotidianamente in contatto dalla sera del 4 gennaio, quando a Scampia un poliziotto ha ucciso un ragazzino di tredici anni che con un complice di diciassette aveva provato a portargli via lo scooter. Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano (An) adesso segue l’esito dell’autopsia sul corpo del piccolo Salvatore: «Un colpo, dalla pistola del poliziotto mi confermano che è partito un solo colpo. Ma voglio attendere che l’esame venga ultimato prima di tirare e ufficializzare le conclusioni».

Il tredicenne impugnava una pistola giocattolo, del tutto simile a quelle vere. Che cosa si può fare per rendere queste armi più facilmente riconoscibili?
«Possiamo anche decidere di dipingere di giallo o di verde o di arancio le armi giocattolo attualmente in commercio, ma non credo che servirebbe a qualcosa. L’ostacolo si aggira facilmente: basta uno spray e la pistola gialla o verde che sia torna subito nera. Senza contare poi che in mancanza di quelle giocattolo i rapinatori si procurerebbero rapidamente pistole vere. Dunque...».

Dunque, in che modo si può intervenire?
«Bisogna agire su chi intimidisce, su chi impugna quell’arma, su chi mette in atto azioni criminose sotto la minaccia di una pistola, vera o finta. Come si può credere che la questione sia nel colore delle armi?».

Forse se il poliziotto avesse riconosciuto l’arma giocattolo non avrebbe sparato...
«Attenzione, in questa vicenda non bisogna cadere nell’errore di incolpare l’agente e meno che mai tutta la polizia. Quella di Scampia è stata un’aggressione in piena regola».

E quella del poliziotto? Legittima difesa?
«Questo lo stabilirà l’autorità giudiziaria, ma è evidente che l’obiettivo dei due ragazzi era quello di sottrarre il ciclomotore all’agente. Come pure è stato accertato che il motorino sul quale viaggiavano gli stessi ragazzi era un mezzo rubato. E poi il tredicenne non aveva esitato a puntare la pistola contro il poliziotto. Questi sono fatti, e mi pare che si commentino da soli».

C’è chi dice che a Napoli, e in particolare nei rioni più a rischio sul fronte della criminalità, le forze dell’ordine dovrebbero inviare gli uomini migliori, quelli con una maggiore competenza ed esperienza nella lotta al crimine. È così?
«Per quanto è possibile si cerca di farlo. Ma bisogna tener presente che laddove c’è una grande esperienza sul campo, l’età non è sempre quella giusta per lavorare in zone di frontiera e ad alto rischio criminalità. Non è facile inviare ovunque uomini giovani e, insieme, con una decina d’anni di esperienza. D’altronde se si pensa alla magistratura non si può fare a meno di notare che nelle aree più calde come la Sicilia, la Sardegna, la stessa Campania, finiscono sempre i magistrati di prima nomina. Sono posti scomodi e sono sempre meno quelli che scelgono di andarci. È chiaro che non in tutti i settori c’è la stessa discrezionalità».

Il poliziotto di quartiere. Quanto serve?
«Serve, ma non sul fronte della guerra alla criminalità organizzata. Il poliziotto di quartiere deve circolare nelle zone commerciali, nelle vie dello shopping, deve garantire tranquillità a chi va a fare spese, deve, insomma, avvicinare i cittadini alle forze dell’ordine. Arriveranno il giorno 20: ventotto carabinieri e ventotto poliziotti, pronti a fare proprio questo».


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