ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MATTINO
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Martedì 25 Gennaio 2005

ELENA ROMANAZZI

   

 

 Patente, perde punti solo il conducente

   


 

Roma. Meno cinque, meno due, meno tre. Ad arrivare a zero con la patente a punti - si parte da 20 - si fa presto se non si rispettano le regole della strada. D’ora in poi, grazie alla Corte Costituzionale, le cose cambiano, ma nessuno si illuda di scampare alle sanzioni. La Consulta, accogliendo il ricorso di un giudice di pace di Genova (nove in tutto quelli che hanno sollevato questioni di incostituzionalità), ha dichiarato illegittimo l’articolo 126 bis comma 2 del codice della strada, nella parte in cui stabilisce che, in caso di mancata identificazione del trasgressore, i punti devono esser tolti al proprietario del veicolo, salvo che questi non comunichi, entro 30 giorni, il nome e la patente di chi guidava in quel momento l'auto.

La Corte ha stabilito che la norma è illegittima perché «dà vita - si legge nella sentenza scritta dal giudice costituzionale Alfonso Quaranta - a una sanzione sui generis». E così ha deciso - riservando al legislatore il compito di effettuare le eventuali modifiche - che i punti della patente possono essere decurtati solo nel caso in cui sia stato identificato il trasgressore. In sostanza, con la sentenza, il proprietario dell’auto se «entro 30 giorni, non fornisce il nome e il numero della patente di chi ha commesso la violazione», dovrà pagare solo una sanzione pecuniaria e non «quella accessoria della decurtazione dei punti». Se a violare il codice della strada è stata un'altra persona diversa dal proprietario dell'auto, per la Corte è irragionevole che quest'ultimo rischi di vedersi togliere i punti dalla patente. Si tratta - spiega la Consulta - di «una ipotesi di sanzione di carattere schiettamente personale», che «viene direttamente ad incidere sull'autorizzazione alla guida». La decisione della Corte è stato un vero choc per chi ha lavorato a lungo sul nuovo codice della strada e sulla patente a punti.

Mario Tassone, vice ministro delle Infrastrutture, ha gridato allo scandalo: «La pronuncia della Corte vanifica in parte l’operato del governo in materia di sicurezza e non ha tenuto conto del senso del dibattito fatto in Parlamento». Sereno, invece, il ministro per le Infrastrutture, Pietro Lunardi: «Il parere della Corte è ineccepibile, non va discusso né contestato. La norma resta, come resta la patente a punti». Ha perso le staffe il padre della legge, Antonio Pezzella: «Sono arrabbiatissimo, pare che la Corte badi più alla forma che alla sostanza. Ora dovrò correggere gli errori indicati e lo faremo nel minor tempo possibile». Sulla decisione della Corte, mentre i giudici di pace che hanno sollevato le eccezioni cantavano vittoria, i politici si sono divisi anche all'interno degli stessi schieramenti. Se il diessino Franco Raffaldini, vice presidente della Commissione trasporti, ha definito la sentenza «ineccepibile», Ermete Realacci della Margherita ha il timore che «apra varchi alla furbizia e all’autolesionismo di certi comportamenti». Preoccupato Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori: «La patente a punti è una di quelle poche cose buone che il Parlamento ha fatto e sarebbe davvero ingeneroso sparare nel mucchio anche in questa occasione».

Critico il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano: «L’intervento della Consulta sposta l’onere della prova dell’automobilista alle forze di polizia che vengono gravate di un accertamento tutt’altro che semplice». Soddisfatte le associazioni in difesa dei consumatori che già si sono offerti di aiutare i cittadini vittime del taglio dei punti ad effettuare i ricorsi: «Le migliaia di automobilisti ai quali sono stati detratti punti della patente o perché non hanno ricordato o perché si sono rifiutati di fare i delatori, hanno diritto di rivalsa e di congruo risarcimento danni dal ministero delle Infrastrutture».


    

 

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