ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MATTINO
(Sezione:    Pag.     )
Giovedì 20 Febbraio 2003

MARILICIA SALVIA

 

Il nuovo racket: imposizione di manodopera e fornitori


Bombe che esplodono davanti alle saracinesche, misteriosi incendi nei depositi, un’escalation di furti e di rapine. Il racket, insomma. In queste forme così «classiche» e così estreme, a quanto pare, non si usa più, sostituito da forme più soft ma forse ancora più subdole, ispirate al principio ”far pagare meno far pagare tutti”. Ma in ogni caso l’azione della criminalità rimane, come un’ombra pesante, uno dei condizionamenti più gravi per chi fa impresa al Sud. Un’ombra che perseguita allo stesso modo negozianti e albergatori, costruttori e operatori dei servizi. E che, da sola, per le imprese meridionali che contano fino a 250 addetti è responsabile della mancata crescita del valore aggiunto per una cifra non inferiore a 7,5 milioni di euro (pari al 2,7% del Pil del Mezzogiorno nel 2001): un mancato incremento che avrebbe potuto generare almeno 180 mila nuove unità di lavoro, il 5,6% di quelle attualmente utilizzate nelle stesse imprese.

È uno dei dati più impressionanti fra quelli contenuti nella Ricerca su «Impresa e criminalità del Mezzogiorno» promossa dalla Fondazione Bnc e realizzata dal Censis, che verrà presentata questa mattina alla Camera, presenti il direttore e il segretario generale del Censis Giuseppe Roma e Giuseppe De Rita, il presidente della Fondazione Bnc Gaetano Arconti, il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, Carlo Vizzini della commissione parlamentare antimafia, il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e il presidente dell’Ance Claudio De Albertis. Risorse sottratte a un sistema economico che, lungi dal riuscire a risanarsi, appare sempre più condannato alle distorsioni: in un effetto a catena, le imprese legali sperimentano costi maggiori rispetto a quelle illegali e per sopravvivere sono spesso costrette a «scendere a patti». Non soltanto non crescono, ma finiscono per dirottare capitali verso strutture che hanno finalità criminali.

Da questo punto di vista, le risposte che i ricercatori del Censis hanno ricevuto dai 764 imprenditori meridionali utilizzati come campione sono eloquenti: il 65% rileva atti di taglieggiamento nella propria zona, per il 70% l’usura è largamente praticata, per il 26 le organizzazioni criminali impongono manodopera e fornitori alle imprese, il 63,9 rileva la nascita improvvisa di grandi imprese capaci di spiazzare le piccole aziende concorrenti, per il 67% non sempre le assegnazioni di appalti pubblici sono trasparenti. È non soltanto la conferma della presenza pervasiva della criminalità, di fatto «padrona» di ampie fasce di territorio, ma anche la spiegazione al dilagante senso di paura che - afferma il Censis - spinge quasi il 70% delle persone contattate ad affermare che l’imprenditore del Sud non si sente più completamente libero nelle proprie decisioni, e il 25% a denunciare un’eccessiva difficoltà a continuare la propria attività.

Hanno paura, pensano di arrendersi. E non hanno più fiducia nelle istituzioni: c’è molto da riflettere e da rimboccarsi le maniche, se il 67% degli intervistati ha risposto al Censis di ritenere «inutili» le associazioni di lotta al racket e il 21% ha sostenuto di ritenerle «una pericolosa esposizione a ritorsioni». Altre cifre danno un’idea molto chiara delle dimensioni del fenomeno: ben il 62% del campione ha conoscenza diretta di aziende vittime di vessazioni o imposizioni di vario tipo, il 79% considera «non totalmente sicura» l’area in cui si trova ad operare. Risposta, quest’ultima, arrivata soprattutto da Campania e Puglia. Al contrario, per il 78% degli imprenditori calabresi e per il 51,5 di quelli siciliani le attività criminali sul territorio sono «rare». Una vittoria delle forze sane, o, all’opposto, dell’omertà? Secondo il Censis nè l’una nè l’altra cosa: piuttosto il pericoloso, inquietante segno dell’assuefazione.


 

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