ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MATTINO
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Martedì 10 Agosto 2004

MARIA PAOLA MILANESIO

 

 Italia-Libia le condizioni di Gheddafi



 

Roma. Da quel piccolo bar sul porto Madame controllava tutto. Gentile ma sfuggente, lo sguardo sempre rivolto là, dove le imbarcazioni prendevano il largo con il loro carico di disperazione. Sui soldi, però, Madame non transigeva: chi pretendeva di attraversare quel braccio di mare che separa la Libia dalla Sicilia doveva sborsare la cifra pattuita. Centinaia di dollari e niente documenti al seguito, così si ritarda - o si evita - l’identificazione. Da febbraio Madame, alias Ganat Tewelde Barthe, cittadina eritrea di 25 anni, non guarda più il mare. È arrivata in Italia, partita dalla Libia volo AZ871, dove l’aspettavano dei giudici e un processo conclusosi con una condanna a quattro anni di reclusione e un’ammenda di un milione e 200mila euro. Un buon segnale questa estradizione, si disse allora, quando - causa maltempo - le carrette del mare non partivano dal porto di Zuwarah, 120 chilometri a ovest di Tripoli. Un buon segnale a dimostrazione che la Libia di Gheddafi ha tutte le intenzioni di collaborare con l’Italia, nel rispetto dell’accordo siglato nel 2003.

Sei mesi dopo gli effetti di quel buon segnale si faticano a trovare: gli sbarchi, e le tragedie, sono quotidiani, il Viminale corre ai ripari e spedisce a Tripoli un suo inviato, il prefetto Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere. «La sua partenza non è imminente», fanno sapere al Viminale, dove ieri a tenere alta l’attenzione sono stati ancora l’allarme terrorismo e l’emergenza traffico in vista di Ferragosto. Ufficialmente si parla di un viaggio con l’obiettivo «di perfezionare l’accordo di cooperazione bilaterale in materia di immigrazione». Ma dietro le quinte c’è chi ipotizza che Tripoli abbia consentito questa nuova ondata di sbarchi per premere sull’Italia: in sostanza il problema sarebbe anche, se non soprattutto, di natura economica (all’Italia andrebbero già le spese per il rimpatrio via aerea dei clandestini arrivati in Libia). La pressione dei clandestini sulle coste siciliane dovrebbe costringere Roma ad aprire i rubinetti, dando maggiori aiuti al Paese africano. Tutto lascia ipotizzare che negli incontri con le autorità locali venga affrontata anche la questione dell’embargo, che secondo Tripoli è l’ostacolo principale alla lotta contro l’immigrazione clandestina. Al ministero degli Esteri libico sono chiari: «Abbiamo frontiere lunghe migliaia di chilometri nel deserto e coste sul Mediterraneo di duemila chilometri e non abbiamo i mezzi per il controllo. Non abbiamo motovedette o aerei per fronteggiare il fenomeno, e questo per le sanzioni internazionali imposteci». Come dire, da soli non possiamo essere né i guardiani né i gendarmi del Mediterraneo.

Basta guardare il porto di Zuwarah per capire che, dall’estradizioe di Madame sei mesi fa, ben poco è cambiato. Questo resta il principale porto d’imbarco utilizzato dai mercanti di schiavi. Arrivano da tutta l’Africa (Somalia, Eritrea, Etiopia, Sudan, Ciad, Niger, Mali, Senegal, Liberia), e alcuni anche dall’Asia, alle spalle settimane di viaggio. «Ne abbiamo visti partire molti, li abbiamo visti trascinarsi il bidone dell’acqua. Ma chi se ne va non è chi sta peggio: chi vive nelle baraccopoli di Nairobi non ha la forza per andarsene. Se ne va chi ha un titolo di studio, chi ha modo di pagare un viaggio anche se su un barcone sfondato. Per capire queste tragedia basta un dato: il prodotto interno lordo dei Paesi dell’Africa subsahariana è di 318 milioni di dollari, tanto quanto il Pil del Belgio e la metà di quello spagnolo», raccontano i missionari. Da giorni ormai l’esodo è ripreso: il bollettino degli sbarchi sulle coste siciliane ha cifre impressionanti, proprio come i volti sfiniti inquadrati dalle televisioni o come i racconti dei sopravvissuti. Ha detto il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: «Non è un’invasione, gli arrivi di clandestini (3501 nei primi sei mesi del 2004, ndr.) sono dimezzati rispetto allo scorso anno. Bisogna guardare il fenomeno nel suo insieme: si scopre così che in Puglia nei primi sei mesi del 2004 non c’è stato neanche uno sbarco, mentre in Calabria sono stati soltanto 12. Gli arrivi sono concentrati quasi esclusivamente nel Canale di Sicilia: significa che la collaborazione con Egitto, Turchia e Albania ha dato ottimi risultati, mentre ci sono ancora problemi con la Libia.

Problemi che vanno oltre la buona volontà delle autorità libiche. Il Paese africano subisce infatti una pressione migratoria enorme sulle sue frontiere meridionali». Due milioni di disperati, ha detto pochi giorni fa lo stesso responsabile del Viminale, il ministro Giuseppe Pisanu. «Tante ce ne sono solo in Libia. In due milioni pronti a partire e anche alcune centinaia di criminali perfettamente organizzati in attesa di imbarcarsi. Queste organizzazioni incassano due miliardi e mezzo di euro l’anno». La Libia smentisce mentre centinaia di disperati, su camion e carovane, affrontano il deserto.


    

 

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