ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il manifesto
(Sezione:   Politica     Pag.  5   )
Martedì 2 dicembre 2003

ANDREA COLOMBO

 

Fini attacca: «Non torno indietro»

Il capo di An sfida gli oppositori: «Ci conteremo nell'Assemblea nazionale. Non ci sarà scissione. Anzi, i consensi aumenteranno». Gasparri: «Chi non è d'accordo può uscire dal partito». L'appuntamento è per il 20 dicembre


ROMA

Nessuna retromarcia, neppure minima. Nessun «equivoco» accampato per stemperare la tensione. Gianfranco Fini va avanti come un bulldozer, convinto, anche dai sondaggi, di avere dalla sua parte il grosso dell'elettorato nazional-alleato, quello reale e ancor più quello potenziale. Per confermare e rilanciare la sua sfida, Fini sceglie la platea mediatica offerta dal salotto di Bruno Vespa, e non lascia spazio a dubbi di sorta: «Indietro non si torna. Ci conteremo nell'assemblea nazionale che si terrà prima di natale». Mentre sullo schermo va in onda la registrazione di Porta a Porta il vicepremier riunisce a via della Scrofa lo stato maggiore del partito. La guardia finiana è tutta schierata. L'opposizione è rappresentata dal ministro dell'Agricoltura e leader della Destra sociale Alemanno, anche se fino all'ultimo secondo si è parlato di un possibile intervento a sorpresa di Francesco Storace. Il presidente ufficializza la convocazione dell'assemblea nazionale, poi Altero Matteoli ne comunica la data: il 20 dicembre. A richiederla per primo era stato il dissidente numero uno, Mirko Tremaglia, ma non per questo Fini intende giocare in difesa. Nelle assise non cercherà una mediazione, bensì la conferma che il partito intero, fatte salve ali esigue, è con lui. Non certo a caso, subito prima di entrare a via della Scrofa, il ministro Gasparri va giù duro come mai prima: «Non ci sarà alcuna scissione. Se qualcuno non è d'accordo se ne va».

Il sondaggio di Renato Mannheimer pubblicato ieri dal Corriere della Sera garantisce che l'80% del partito appoggia la svolta di Fini. Le conclusioni a cui è arrivata la leadership di An, dopo aver tastato il polso alla base alla fine della settimana scorsa, sono altrettanto ottimiste. Il disagio degli ex missini c'è, sia chiaro. Non è un'invenzione di Alessandra Mussolini e Francesco Storace. A essere cambiata, negli ultimi dieci anni è però la base elettorale di An, nella quale gli ex missini sono ormai una minoranza o quasi.

Fini aveva già fatto capire, subito dopo il ritorno da Israele, che la nuova svolta mira anche a raccogliere maggior consenso fra gli elettori moderati di destra. Lo ripete ora anche più chiaramente: «Non credo a una scissione, ma penso anzi che nel lungo periodo il consenso sia destinato ad aumentare. La destra italiana deve essere giudicata per quello che attualmente è, non per i suoi legami con il fascismo». Ad Alessandra Mussolini, che proprio ieri ha annunciato il nome della sua nuova formazione (Libertà d'azione), il presidente di An riserva un commento che sarà giustamente considerato sprezzante: «Le faccio gli auguri. Il tempo dirà se c'è lo spazio per un nuovo partito». Capitolo chiuso.

Il dibattito su cosa il presidente di An volesse realmente dire in Israele, però, non lo si può chiudere altrettanto fulmineamente. Faccenda delicata, dal momento che i rischi sono due. Da un lato, certo, quello di scontentare ulteriormente l'area «nostalgica» privandola anche dei distinguo nei quali aveva abbondato nei giorni scorso il coordinatore La Russa. Ma dall'altro lato c'è il pericolo, anche più temuto, di annacquare a colpi di precisazioni una strategia politica di cui Fini vuole che, al contrario, sia riconosciuta tutta la valenza innovativa. Dunque ripete di «aver già detto in più occasioni che la libertà è un valore di tutti». Dunque conferma che «il dibattito politico tra fascismo e antifascismo è un'àncora che tira verso il basso», che bisogna «liberarsi dagli odi e dalle passioni del passato», che «sono in molti a non poterne più di questa polemica».

Ai nostalgici il leader dell'ex Msi concede pochissimo. Nega di considerare il fascismo un «male assoluto», ma solo perché sfida «uno storico serio di sinistra a dimostrare che nella storia esistano un bene assoluto e un male assoluto». Sulla Shoa e sulle responsabilità del fascismo in materia, invece, non cambia una virgola: «Se la Shoa è, come è, il male assoluto, rientrano nel male assoluto tutti gli atti che hanno contribuito a determinarlo. Se qualcuno dice che non è vero si assume una responsabilità con la sua coscienza e con la sua storia».

Non era scontato che il presidente di An scegliesse questa linea, che evitasse qualsiasi tentativo di mediazione. Nei giorni scorsi erano stati ben diversi i discorsi dei colonnelli come La Russa e come Gasparri, che avevano puntato invece a ridimensionare la portata dell'affondo. Tra il tentativo di tenere buono tutto l'ex Msi e quello di modificare una volta per tutte la collocazione culturale e politica del suo partito, Fini ha scelto la seconda ipotesi. Non a caso i colonnelli a lui più vicini, Urso e Mantovano, spiazzano ogni tentativo di conciliazione. Il primo ripete, rispondendo ad Alemanno, che «a Fiuggi abbiamo sancito il valore storico dell'antifascismo nel ridare la libertà a questo paese». Il secondo, in un editoriale pubblicato oggi dal Secolo, smantella l'alibi secondo cui Fini non avrebbe detto niente di nuovo rispetto alla svolta di Fiuggi. Sarà anche vero, afferma il sottosegretario agli interni, però, dato il contesto nel quale Fini ha parlato stavolta, quelle parole acquistano «un senso incomparabilmente diverso». Parole che suonano come una dichiarazione di guerra totale contro i«nostalgici», e che il capo ha avallato nel suo discorso in tv.

 

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