ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il manifesto
(Sezione:  Politica   Pag.   2)
Mercoledì 12 giugno 2002

GIOVANNA PAJETTA

RIESPLODE LO SCONTRO MENTRE IL SENATO DECIDE: DDL IN AULA IL 26 GIUGNO

«La Dc di Roma padrona non tornerà»
Bossi chiede a Berlusconi di cacciare i «democristiani». Si apre la resa dei conti nel centrodestra? Senatur all'attacco Il leader del carroccio gioca le sue carte per cercare di aumentare di peso negli equilibri della destra. E anche Fini rumoregia con gli alleati per le «candidature sbagliate». Ma quella del vicepremier è solo una piccola mossa per sedare la delusione dei nazional alleati


Alla fine Umberto Bossi sfodera lo spadone e parte all'attacco di «Roma padrona». «Si ricordino bene che noi della Lega siamo il baluardo contro la rinascita della Dc - tuona - Mai accetteremo il ritorno di chi mise in schiavitù il Nord. Attenzione: i dc, siano di destra o di sinistra, sono la stessa cosa, sono il tentativo di far tornare Roma padrona». Ma questa volta trova pane per i suoi denti, perché i tempi in cui gli «ex» si nascondevano è finito, e dall'Udc si contrattacca con altrettante cannonate. «La storia e la tradizione della Dc è quanto di meglio ha prodotto il nostro paese - replica infatti il presidente dell'Udc Tassone - Una tradizione e una storia che vogliamo far rivivere». E se non basta ecco Luca Volontè che, dopo un signorile «A Bossi il sole di Milano gli ha dato alla testa», ricorda commosso «il buon governo degasperiano che dalle macerie del `48 ha portato l'Italia a diventare una delle più grandi potenze economiche mondiali e uno dei paesi più civili del mondo». Poco conta se a sera gli animi si raffreddano, Bossi dice che in fondo è stato aggredito e Follini scansa i giornalisti con un «Adesso basta, non se ne può più». La resa dei conti nella Casa delle libertà, appena accennata dopo il 26 maggio, appare ormai inevitabile dopo la semisconfitta di domenica scorsa. E per quel che riguarda la Lega, come spiega lo stesso Bossi nella sua intervista a Repubblica, non riguarda solo i nemici di sempre, ovvero l'Udc. «Berlusconi deve mettere in riga i suoi - dichiara infatti il leader del Carroccio - Secondo me c'è un pezzo di ex democristiani che affossa Forza Italia e la Casa delle libertà. E questo non va bene».

Miele per le orecchie del popolo leghista, uscito niente affatto bene dal voto amministrativo. In Veneto, dove con Forza Italia si è da sempre ai ferri corti («Io preferisco discutere con un testone di Rifondazione che con uno di quei riciclati lì» dice, chiedendo l'anonimato, un dirigente vicentino), e dove si sono perse le perle di Montebelluna e Feltre. Ma anche in quel che restava del Piemonte, ovvero Alessandria e Acqui Terme, o nella ancor forte Lombardia dove è caduta dopo 8 anni anche Erba. E ora che Pontida è alle porte (l'appuntamento è per domenica 23) è sempre bene alzare i toni. Ma sarebbe sbagliato ridurre il tutto a un problema di casa. La verità è che Umberto Bossi, secondo una vecchia tattica, preferisce attaccare per primo e ora che la Casa delle libertà, mostra le prime crepe prende la palla al balzo per cercare di raddrizzarne, a suo favore, il timone. Nella speranza di riuscire a ampliare così il peso della Lega e dei suoi (pochi) alleati a palazzo Chigi. In gioco c'è infatti anche il ruolo di Giulio Tremonti, da sempre nel mirino dell'Udc e oggi preso di mira da Bruno Tabacci per il suo tentativo di strappare il controllo delle Fondazioni bancarie alle vecchie lobbies di sempre.

Sono le due anime che da sempre travagliano, spesso in modo trasversale, l'intera coalizione del centrodestra. E che il deus ex machina , tradito dalla pochezza del suo partito, non pare oggi in grado di tenere assieme come un tempo. «Berlusconi è un ottimo ministro degli esteri - come dice velenoso Alessandro Cè, capogruppo della Lega alla camera - Ma sarebbe meglio che riprendesse in mano la situazione, la macchina della politica interna va guidata un po' meglio. E il titolare è lui». Non è l'unico ad appellarsi al malconcio capo di Forza Italia. Ieri persino Gianfranco Fini, anche se per lettera e via Ignazio La Russa, ha rumoreggiato per le «candidature sbagliate». Ma è giusto una piccola mossa, per sedare la delusione dei nazional alleati, bastonati in Veneto e a Frosinone. Nella battaglia che si apre ora, An per il momento preferisce fare il pesce in barile. Il suo portavoce Landolfi dice che non si possono «discriminare le persone solo perché vengono dalla prima repubblica», mentre Publio Fiori sfotte: «Bossi è ossessionato dal ricordo della Dc: si consiglia un perido di riposo». Ma quando si arriva al dunque, ovvero allo scontro riapertosi ieri al senato sulla legge sull'immigrazione, Alfredo Mantovano bastona l'Udc. «La legge va approvata così com'è» dichiara il sottosegretario agli Interni. E sulla «contestualità» della regolarizzazione chiesta da Tabacci dice vago: «Sulla tempestica è difficile prendere il cronometro...». Ma se Silvio Berlusconi non riuscirà a ricomporre velocemente gli equilibri nella Casa delle libertà, anche Gianfranco Fini dovrà uscire dal comodo cantuccio dell'eterno «vice».

 

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