ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su LA GAZZETTA DEL MEZZOGGIORNO
(Sezione: Puglia e Basilicata    Pag.     )
Mercoledì 30 ottobre 2002

Gaetano Campione

CRIMINALITÀ
Da Roma parte la richiesta di una rettifica legislativa. Si va verso un'agenzia unica per la gestione. In media trascorrono quattro anni in Puglia fino alla effettiva destinazione. Sette in Basilicata

Beni confiscati, il rischio beffa

Mantovano avverte: non vanno venduti, tornerebbero alla mafia


 

BARI Il bunker del boss della droga, Antonio Lazzarotto, era una villa dell'800 a Santo Spirito, alle porte di Bari, con tanto di piscina e ascensore. Millecinquecento metri quadri che oggi ospitano il centro di assistenza terapeutica del Caps per le donne tossicodipendenti in gravidanza.

Questo è solo un esempio degli 89 beni immobili confiscati alla criminalità organizzata in Puglia e riconvertiti. Eppure il dato è ancora più eclatante. Perché le confische sono state 722, tre in Basilicata. Ma in molti casi non si riesce ad assegnare ai Comuni - come prevede la legge 109 - quanto sottratto alla Piovra spa. Comuni che a loro volta possono o amministrare i beni direttamente, oppure assegnarli in concessione, a titolo gratuito, a comunità, enti, organizzazioni di volontariato, impegnati nel sociale.

Perché?
Così non va
Gli esperti parlano di «ineffettività» del sistema a causa di una serie di nodi burocratici legati all'esecuzione del sequestro, alla successiva amministrazione giudiziaria e alla fase di gestione amministrativa.

Insomma la legge 109, nonostante in 6 anni abbia permesso l'utilizzo ai fini sociali in tutta Italia di oltre 1000 beni immobili per un valore di 150 milioni di euro, va migliorata. Non basta colpire il cuore finanziario della Mafia e ridistribuire le ricchezze alla collettività (la villa di Totò Riina a Corleone è diventata una scuola, i terreni di Bernardo Provenzano producono olio). I tempi, spesso, sono jurassici. In Puglia, in media, trascorrono 4 anni e 65 giorni dalla confisca al riutilizzo; in Basilicata va peggio: 7 anni e 29 giorni. Di qui la necessità di una riforma, presentata ieri in un convegno a Roma, elaborata dalla commissione di studio istituita presso il commissario straordinario per la gestione dei beni confiscati.

Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, Pierluigi Vigna, procuratore nazionale antimafia, Roberto Centaro, presidente della commissione parlamentare antimafia e Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni, Luciano Violante, capogruppo dei Ds alla Camera, hanno affrontato il problema. E' emersa la necessità di una riflessione collettività istituzionale. «Di una rettifica legislativa che partorisca una normativa agile, di immediata e trasparente attuazione» - come ha evidenziato Mantovano. «È inconcepibile che, in media, passino più di cinque anni tra il momento della confisca di un bene e la sua effettiva destinazione a fini istituzionali». La proposta ora passerà all'ufficio legislativo del ministero dell'Interno per una valutazione. In attesa di un disegno di legge del governo sulla materia si potrebbe sostenere un'articolata proposta parlamentare.

Dunque, cosa non va?
Niente vendite
I relatori, all'unanimità, hanno concordato sul fatto che i beni non possono essere venduti. Oltre ad essere immorale, in questo modo la Mafia potrebbe riacquistare quanto confiscato grazie a prestanome e società di copertura. Importante è anche la costituzione di una banca dati in gardo di monitorare in tempo reale la mappa delle confische e delle assegnazioni. Ancora: tutelare chi utilizza i beni confiscati perché è esposto a rischi.

Alfredo Mantovano ha lanciato l'idea di un'agenzia unica per la gestione che farebbe capo al ministero dell'Interno. Spiega il sottosegretario: «Le prefetture e le forze di polizia hanno il controllo sugli enti locali. Poi, il bene confiscato non è un bene qualsiasi e i funzionari hanno una certa abitudine ad affrontare situazioni rischiose. Un particolare che in certi casi non guasta».

Le procedure sui beni confiscati devono diventare normali e quotidiane anche perché i tempi lunghi per l'assegnazione hanno ripercussioni sulle condizione dei beni stessi. «Bisogna far presto - continua Mantovano - perché le organizzazioni criminali non attendono i nostri comodi per arricchirsi. C'è una responsabilità che coinvolge tutti, ciascuno per la sua parte».

Milioni di euro
In Puglia e Basilicata la situazione è in linea con quella nazionale. La valutazione complessiva delle confische dei beni immobili è rispettivamente di 14 milioni e 661mila euro e di 699mila euro. Mentre per i beni (danaro, mezzi di trasporto, apparecchiature informatiche) siamo a 4 milioni e 715mila euro e a 173mila 256 euro. In Puglia esistono ancora 20 beni immobili confiscati e non destinati liberi, 21 quelli occupati abusivamente, uno occupato con un titolo non valido. In Basilicata siamo allo zero sotto ogni voce. Mentre 9 immobili confiscati destinati ma non consegnati in Puglia e 2 in Basilicata spiccano nell'apposita tabella.

La legge a questo proposito, è chiara. I beni che lo Stato mantiene possono diventare caserme, strutture della polizia, della protezione civile o dell'amministrazione giudiziaria. I beni trasferiti ai Comuni, invece, possono rispondere alle esigenze delle realtà locali ed essere così utilizzati come uffici comunali, scuole, asili, parchi pubblici. Possono ospitare comunità terapeutiche, centri sociali e di aggregazione.

Tante belle parole?
Un caso
Alfredo Mantovano ha il pregio della concretezza. Un esempio su tutti. Le cronache si sono occupate nei giorni scorsi di un sacerdote di Lamezia Terme, minacciato dal boss locale, per aver gestito un bene confiscato. L'esponente della malavita è finito in carcere. E gli imprenditori che si sono rifiutati di ristrutturare l'edificio, su richiesta del sacerdote? Mantovano ha dato disposizioni affinché i loro nominativi siano cancellati dagli appositi albi di fiducia della Prefettura.


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