ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
(Sezione: CRONACHE     ITALIANE    Pag.    13)
Martedì 25 Gennaio 2005

Annachiara Pennetta

LA PATENTE La decurtazione prima colpiva l'intestatario della vettura che non dichiarava il nome del guidatore

 

 Perde i punti solo l'autista identificato

La Consulta «risparmia» il proprietario dell'auto: legittima solo la multa Il ministro: anch'io avevo dubbi su quella norma. Rischio di nuovi contenziosi


 

ROMA Per decurtare i punti dalla patente è obbligatorio identificare il conducente. La Corte Costituzionale boccia in parte una norma del codice della strada che ha introdotto la patente a punti. D'ora innanzi chi avrà prestato la propria auto a un amico o a un familiare imprudente non rischierà più di vedere intaccato il punteggio della propria patente. Resta però l'obbligo di fornire, «entro trenta giorni dalla richiesta», i dati personali e della patente di chi era alla guida quando è stato violato il codice della strada, altrimenti il proprietario dell'auto - precisa la Corte - incorre in una sanzione.

I giudici della Consulta, con la sentenza n.27 scritta dal giudice Alfonso Quaranta e firmata dal presidente Valerio Onida, hanno dato ragione (in parte) alle questioni di legittimità sollevate da numerosi giudici di pace. La censura della Consulta si è abbattuta sull'art. 126-bis, comma 2, del nuovo codice della strada, nella parte in cui prevede che, in caso di mancata identificazione del trasgressore, i punti devono esser tolti al proprietario del veicolo, salvo che questi non comunichi, entro 30 giorni, il nome e la patente di chi guidava l'auto al momento dell'infrazione.

La Corte giudica questa disposizione «irragionevole» (viola l'art.3 della Costituzione), perché «dà vita a una sanzione assolutamente "sui generis": pur trattandosi di «una sanzione di natura personale, non appare riconducibile - si legge nella sentenza di 28 pagine - ad un contegno direttamente posto in essere dal proprietario del veicolo». In altre parole, la differenza rispetto ad altre sanzioni amministrative come, ad esempio, il fermo del veicolo, sta nel «carattere schiettamente personale della sanzione», che «viene direttamente ad incidere sull'autorizzazione alla guida». I giudici costituzionali, forse immaginando di essere andati a toccare un terreno «minato» come quello della patente a punti, non mancano di concludere la sentenza aggiungendo: «resta, tuttavia, ferma, ovviamente, la possibilità per il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, di conferire alla materia un nuovo e diverso assetto».

IL MINISTRO - Lunardi difende il suo fiore all'occhiello, quella riforma del codice della strada che con l'introduzione della patente a punti sembra aver rivoluzionato il modo di comportarsi degli automobilisti italiani. La patente a punti «è sana e resta valida» e la sentenza «non ne altera assolutamente l'impianto» si è affrettato a chiarire il ministro dei Trasporti che si affretta a dire che l'articolo bocciato era l'unico sul quale anche lui nutriva «forti dubbi».

GLI SCONTENTI - «Rispetto la decisione della Consulta, ma resto molto perplesso» aveva invece commentato a caldo il viceministro ai Trasporti, Mario Tassone. «La decisione della Corte sulla patente a punti lascia davvero perplessi perché nei fatti rappresenta una riduzione della tutela dell'incolumità delle persone» ha commentato il ministro Maurizio Gasparri. «L'intervento della Consulta sposta l'onere della prova dell'automobilista alle forze di polizia che vengono gravate di un accertamento tutt'altro che semplice» fa notare il sottosegretario all'interno Alfredo Mantovano.


    

 

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