ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
(Sezione: IN PRIMO PIANO       Pag.    2)
Domenica 12 dicembre 2004

 

La condanna di Dell'Utri, dopo l'assoluzione di Berlusconi, sembra vanificare ogni tentativo di dialogo

 

 Giustizia, riparte lo scontro

Il Polo: «Giudici ingiusti». La Gad: «Rispettare tutte le sentenze»


 

ROMA poche ore dalla sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi da parte dei giudici milanesi, vanno deluse le attese di chi ha sperato che lo scontro politico-giudiziario tra i due schieramenti potesse svelenirsi. La condanna a nove anni per concorso in associazione mafiosa di Marcello Dell'Utri, amico di tutta una vita del premier ed insieme a lui ideatore di Forza Italia, riaccende le polveri e fa ripartire lo scambio di accuse incrociate.

Silvio Berlusconi non dice in pubblico una sola parola sulla condanna. Ma chi è stato con il premier lo descrive «avvilito», amareggiato di non aver potuto di nuovo alzare i calici e sorridere, come era accaduto nei brindisi di venerdì dopo la sentenza sul caso Sme. È Dell'Utri stesso, però, a fare distinguo e a spiegare che «ognuno è responsabile delle proprie azioni e dei propri processi». Dunque sbaglia Francesco Cossiga a dire che quella di ieri anche per il premier «è una condanna morale».

Nove anni di pena e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, per il centrosinistra sono un verdetto - sebbene provvisorio - di cui la Cdl dovrebbe preoccuparsi, un fatto grave che non nasconde disegni persecutori o pregiudizi politici da parte dei giudici, ma impone invece una profonda riflessione sui rapporti tra politica e poteri illegali. Per la Casa delle Libertà siamo invece di fronte ad una sentenza profondamente ingiusta, che colpisce un uomo di cultura e di grandi principi morali, con un ruolo politico di primissimo piano in Forza Italia, assolutamente estraneo alle accuse che vengono mosse contro di lui da pentiti inaffidabili e «neanche di rango». Un uomo innocente e certo non un mafioso, una persona perbene e vittima di una campagna politico-giudiziaria, gratificata da innumerevoli attestazioni di solidarietà e stima, prima tra tutte quella di Silvio Berlusconi.

La Cdl amareggiata torna a parlare insomma di una giustizia giusta, quella che ha prosciolto Berlusconi, e di una magistratura politicizzata, quella che condanna Dell'Utri. Forza Italia soprattutto punta il dito contro «pm in servizio permanente effettivo che vogliono cambiare gli equilibri politici del paese» (Cicchitto), denuncia «un teorema per condannare Dell'Utri» (Alfano), si rammarcia per «l'occasione persa per la giustizia» (Bondi). E, in attesa di una attenta lettura delle motivazioni, molti (La Loggia, Schifani, Bertolini, Ghedini) si augurano che i successivi gradi di giudizio rovescino il pronunciamento. «Tutti quelli che lo conoscono - assicura Gianfranco Miccichè - non crederanno mai ad un Dell'Utri Mister Hyde e gli staranno sempre vicini, pronti ad aiutarlo».

Il presidente del Senato Marcello Pera esprime solidarietà e si limita a «prendere atto della sentenza senza discuterla». Ma gli alleati si schierano. Colpisce sentire uno tra i più moderati esponenti di Alleanza Nazionale, il sottosegretario alla Giustizia Alfredo Mantovano, parlare di «immagini simili a quelle dei tedeschi che battevano in ritirata alla fine della Seconda guerra mondiale e, tornando indietro, compivano rappresaglie per ricordare l'esistenza in vita del Reich». Ignazio La Russa, vicepresidente vicario di An, parla di «incredibile conferma di tesi accusatorie veramente fantasiose», mentre il vicepremier Follini e i ministri dell'Udc Giovanardi e Buttiglione esprimono rammarico e solidarietà, in attesa della conclusione dell'intero percorso giudiziario. «Quando c'è di mezzo la politica bisogna sempre comprendere dove arrivi la sentenza e dove inizi la politica», commenta il ministro leghista Calderoli.

I toni del centrosinistra, ieri, non sono invece quelli di due giorni fa: «In uno Stato di diritto le sentenze si rispettano, sia quando danno ragione, sia quando danno torto», afferma il responsabile Giustizia della Margherita Giuseppe Fanfani. Un concetto che in molti rilanciano. «Berlusconi è stato assolto e prescritto a Milano, Dell'Utri condannato a Palermo. La Cdl non ha più alibi e non può parlare di persecuzioni giudiziarie. Deve solo rispettare le sentenze, tutte», dice Marco Rizzo del Pdci. «Le sentenze non sono nè buone nè cattive, non si giudicano e soprattutto non devono diventare strumenti di lotta politica», insiste Enrico Boselli dello Sdi, mentre Anna Finocchiaro chiede a Berlusconi di riflettere. «Una democrazia non può neppure sopportare - dice la responsabile Giustizia Ds - l'ombra del collegamento tra politica e mafia». Anche il leader del Prc Fausto Bertinotti e il verde Pecoraro Scanio chiedono alla maggioranza di «rispettare le sentenza di condanna come rispetta quelle di assoluzione».

Che lo scontro torni ad accendersi lo confermano le parole di Antonio Di Pietro. «Da una parte c'è Previti che è stato condannato per aver corrotto dei magistrati. Dall'altra c'è dell'Utri che è stato condannato per mafia. In mezzo c'è Berlusconi che si è salvato per la prescrizione... Stando alle sentenze - chiosa l'ex magistrato - siamo di fronte ad una banda di poco di buono di cui dobbiamo disfarci andando al voto anticipato».


    

 

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