ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Cronache Martinesi
(Sezione:     Pag.    )
Ottobre 2002

intervista di Pietro Andrea Annicelli

Alfredo Mantovano

Cultura della legalità e comunità di destino


 

 

In un governo nel quale non mancano gli sproloqui a partire da quelli dello stesso presidente del Consiglio, il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, per la sobrietà dei suoi interventi, si caratterizza come un punto fermo istituzionale e politico. Referente del locale circolo di Alleanza Nazionale Giorgio Almirante, nella primavera scorsa, quando per soddisfare i desideri degli aspiranti sindaci di Forza Italia sarebbe stato necessario moltiplicare i comuni pugliesi, Mantovano intervenne reciso: "Casa delle Libertà non significa casa di Berlusconi". Sulle proteste dei poliziotti di Napoli per l'arresto di alcuni colleghi accusati d'aver prelevato da un pronto soccorso dei cittadini per poi offenderli e malmenarli in commissariato, avallate dal ministro per le Telecomunicazioni Maurizio Gasparri con un atteggiamento forse unico nella storia istituzionale italiana, un componente del Governo che pone una parte dello Stato, le forze dell'ordine, contro un'altra, la Magistratura, Mantovano intervenne subito a fare chiarezza: "Non c'è alcun patrocinio di An nei confronti di manifestazioni che sono in gran parte spontanee: in questo momento bisogna soprattutto evitare di fare forzature e rispettare il lavoro di tutti". Oggi il sottosegretario leccese è impegnato sul difficile fronte della prevenzione delle attività criminali.

"Nel libro Periferia infinita del 1995 sulla criminalità in Puglia, Raffaele Gorgoni scrive: "Non è forse un caso che le nuove mafie si siano sviluppate in alcune aree dove sono state praticate forme particolari di welfare. Dove quel welfare, ben lungi dall'essere un diritto proprio della cittadinanza, è stato invece uno strumento di asservimento di ampi strati della società alla burocrazia che lo erogava". Come commenta questa analisi e come è cambiata, se è cambiata, la situazione generale della criminalità e della corruzione in Puglia negli ultimi dieci anni? Ritiene che i condizionamenti delle burocrazie rimangano un limite ai diritti di cittadinanza?
"La tematica è estremamente complessa. Credo che per tentare d'impostarla correttamente sia necessario partire dal concetto di welfare, termine che è stato utilizzato in diverse e spesso addirittura opposte accezioni. Welfare può voler dire un corretto apporto della comunità organizzata istituzionalmente per intervenire, secondo il principio di sussidiarietà, laddove i consociati non riescano in alcun modo a fare fronte alle proprie esigenze fondamentali. Ma può anche voler dire improprio intervento dello Stato che si sostituisce ai cittadini, deresponsabilizzandoli, espropriandoli massicciamente dei loro beni, tendenzialmente fino all'estinzione del diritto di proprietà che è l'obiettivo d'ogni prospettiva socialcomunista e utopistica in genere, e ridistribuendoli secondo criteri che si affermano egualitari. L'esproprio d'una grande porzione di risorse da parte dello Stato ha portato allo sviluppo d'una burocrazia elefantiaca e onnipervasiva che ha gestito spazi di potere enormi. L'esperienza del crollo dei regimi socialcomunisti dell'Est europeo, ma anche il disastro di quel socialismo strisciante che ha radicalmente impregnato il sostrato normativo e istituzionale del nostro paese, hanno dato un giudizio inoppugnabile su questa seconda versione di welfare. Tutto questo non deve trasformarsi però in un pretesto per disinteressarsi dei problemi della comunità, con riferimento ai più bisognosi e in difficoltà. Anche il concetto di burocrazia è un'arma a doppio taglio e non credo che una demonizzazione indistinta degli operatori del settore pubblico possa essere di giovamento. Ciò che veramente serve è operare per la ricostituzione d'una classe dirigente veramente e sinceramente orientata al servizio della comunità, immune da utopie e da sogni, che diventano infallibilmente incubi una volta tradotti nella realtà. Per questo c'è bisogno di tempo, perché la nostra cultura è tuttora pesantemente egemonizzata da un relativismo aggressivo che oltre cinquant'anni di dittatura culturale della sinistra hanno inoculato profondamente nel tessuto sociale. In questo quadro generale si possono collocare le analisi su situazioni territoriali specifiche. Nel caso della Puglia credo che non si possano individuare radicali mutamenti. I talora brillanti risultati delle Forze di Polizia richiedono, per essere veramente duraturi, un contesto di valori etici condivisi da larga parte della società, un senso e una cultura della legalità che mi pare siano ancora un obiettivo da raggiungere e non solo in Puglia. Anche in relazione all'organizzazione dello Stato e del suo funzionariato, si può fare un discorso analogo, considerando che in molti casi il vero problema è strutturale oltre che di moralità dei singoli. L'accentramento delle risorse le allontana dal paese reale e le rende anonime. Non vi è più una comunità di destino percepita come legame forte. Tutto questo spiega, senza giustificarlo, il successo di strutture criminali o paracriminali basate sul contatto diretto e sulla chiara sensazione che i membri, ma persino le vittime, hanno di non essere considerati entità impersonali e indifferenziate".

Ci sono diverse proposte per congelare la perseguibilità del politico indagato e i termini di prescrizione del reato del quale è accusato, rimandando così l'iter giudiziario alla scadenza del mandato. Ciò per tutelare i principi dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della salvaguardia delle istituzioni. Cosa ne pensa un politico che è stato anche un magistrato? Ritiene che questo istituto potrebbe eventualmente estendersi ai ruoli istituzionali negli enti locali?
"Anche questa problematica è estremamente complessa. Ogni soluzione presenta notevoli difficoltà. La maggiore è che qualunque proposta fatta oggi verrebbe in qualche modo messa in relazione con persone e situazioni specifiche e su questa base giudicata. Sono convinto che, per quanto attiene a coloro che ricoprono incarichi di altissimo livello, l'impianto tradizionale che prevede una delibazione relativa al cosiddetto fumus persecutionis sia sicuramente valido ed equilibrato. Ciò a cui oggi ci troviamo di fronte è però una contrapposizione che, se non è geneticamente legata a una lotta di potere, e non uso volutamente la parola politica per la quale ho un particolare rispetto e che non è necessariamente, come ritengono alcuni, una cosa sporca, si è radicalmente ed irrimediabilmente trasformata in questo. Spero di poter vedere presto il giorno felice in cui, parlando di una qualsiasi decisione politica o amministrativa, la domanda pregiudizialmente polemica non sia più quanto ne possa trarre vantaggio, ovviamente illecito, il presidente del Consiglio. Per gli enti locali la questione è analoga: senza valori condivisi e senza la percezione di essere una comunità di destino, la lotta per il potere può intossicare tutto. E non c'è strumento giuridico che possa impedirlo fino in fondo".

A Martina Franca fece scalpore, nell'ottobre 1998, un'inchiesta giudiziaria su presunti reati di corruzione e concussione inerenti l'attività amministrativa. Essa coinvolse, con arresti, amministratori, politici e burocrati. Da allora non si è arrivati a definire né dei rinvii a giudizio, né delle archiviazioni. Non ritiene che in genere una situazione d'incertezza così lunga possa allentare il rapporto di fiducia tra la gente e le istituzioni? Come dovrebbe porsi il cittadino che si vede amministrato da politici e da burocrati le cui vicende giudiziarie non sono state definitivamente chiarite?
"Qualcuno ha detto che nel nostro attuale costume la pena è costituita dal processo. Senza entrare nel dettaglio delle vicende martinesi, è comunque evidente che l'eccessiva lunghezza dei procedimenti è il contesto nel quale dinamiche di potere, e talora di eccessivo protagonismo di singoli, hanno potuto distruggere assetti istituzionali e crearne dei nuovi al di fuori delle normali procedure costituzionali e di estinzione, prescindendo del tutto dagli esiti processuali. È per questo che il mio impegno prima da magistrato, poi da parlamentare e infine da esponente del Governo, è stato sempre di porre in primo piano l'efficienza della giustizia italiana. La cui kafkiana lentezza ha subito forti censure in ambito europeo e dalle organizzazioni internazionali competenti, anche se si tende a non parlarne. Di fronte a queste problematiche, credo non si possa realisticamente immaginare una soluzione unica. Siamo arrivati in fondo a un itinerario storico di rinnegamento dei valori sui quali la nostra civiltà, originariamente cristiana, aveva fondato la sua identità. Questo rinnegamento può essere ben rappresentato dalla rinascita della schiavitù, in modalità nuove ma sempre terribili, che il Cristianesimo, senza ghigliottine, gulag, black block, aveva cancellato dall'orizzonte della civiltà greco romana. In mancanza d'un ritorno sincero a questi valori, nessun Codice di Procedura Penale e nessuna Gazzetta Ufficiale potranno restituirci un mondo veramente a misura d'uomo. Questa sono convinto sia la risposta più vera e anche la strada per la quale bisogna incamminarsi. Processi troppo lunghi sono comunque un danno gravissimo per tutti. Questo è dipeso talora anche da un eccessivo impegno di risorse in attività d'interesse più politico che giudiziario, mantenendo in vita accanitamente processi senza un valido impianto probatorio o già minati alla base da irregolarità probabilmente insanabili"


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