ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Il Corriere del Sud
(Sezione:       Pag.     20)
N. 8 quindicinale
(1/15 maggio 2004)

Giuseppe Brienza

Dossier Euroislam

 

TERZA PARTE

L´integrazione possibile e la questione del voto amministrativo agli immigrati"



 

Nel nostro Paese la regolarizzazione del 2002, chiusa positivamente la complessa fase della gestione di oltre 700.000 domande, rimane una questione aperta per quanto riguarda l’inserimento dei nuovi venuti e per gli interrogativi che si pongono circa la pressione migratoria e i futuri flussi.

Trattandosi della quinta regolarizzazione in nemmeno 20 anni, risulta evidente che questi provvedimenti eccezionali hanno finora costituito il pilastro principale della politica migratoria: la maggior parte degli immigrati oggi soggiornanti è venuta al di fuori dei canali ufficiali di ingresso.

Si pone dunque non solo il problema di un adeguamento realistico delle quote programmate ma anche quello di un più adeguato collegamento tra domanda e offerta di lavoro. Un cambiamento di mentalità e di approccio, oltre che per le “quote d’ingresso”, sarebbe auspicabile anche in relazione al permesso di soggiorno. Non può diventare, come invece spesso si è verificato e continua ad essere, una corsa forsennata al rilascio dell’autorizzazione sic et simpliciter, bensì la naturale conclusione di un percorso che deve avere nell’inserimento socio-lavorativo dell'immigrato la sua fase centrale ed essenziale.

Tra le numerose tematiche affrontate dal recente "Rapporto Italia 2004" dell'Eurispes, istituto italiano di studi che opera nel campo della ricerca politica, economica e sociale, emergono interessanti approfondimenti relativi alla complessa realtà migratoria “del” e “dal” nostro Paese. Nella scheda dedicata dall'indagine, dal significativo titolo "Immigrati problema o risorsa?", vengono infatti fotografate sia le variegate dinamiche dei flussi migratori diretti verso il nostro Paese, sia le vicissitudini storiche e le frammentarie realtà numeriche delle nostre collettività all'estero. Essa evidenzia fenomeni come la progressiva crescita su scala mondiale dei Paesi e dei popoli coinvolti nei fenomeni migratori, la costante accelerazione dei flussi, la recente adozione di politiche restrittive da parte delle Nazioni d'accoglienza e la crescente "femminizzazione" della galassia migratoria.

Dai ricercatori dell’Istituto viene anche analizzato il delicato passaggio che ha trasformato l'Italia, per secoli terra d'emigrazione, in Paese d'accoglienza. Un lungo cammino che è iniziato alla fine degli anni 1970, quando in Italia erano presenti solo 300.000 immigrati. Da allora la collettività straniera nel nostro Paese ha conosciuto, sia pure con alcuni picchi scanditi dalle sanatorie e da congiunture internazionali, una crescita costante ed esponenziale. Si è quindi passati dai 781.138 cittadini stranieri censiti nel 1990, l'anno in cui è entrato in vigore il primo provvedimento organico sull'immigrazione denominato "Legge Martelli", a 1.340.153 di immigrati regolarmente soggiornanti registrati dopo l'entrata a regime della legge Turco-Napolitano (marzo 1998). Oggi, a queste valutazioni, bisogna aggiungere il risultato dell'ultima regolarizzazione approntata dal Governo a seguito dell'entrata in vigore della legge “Fini-Bossi” (n. 189 del 2002) sull’immigrazione.

Un'operazione molto complessa, quest'ultima messa in regola degli immigrati, che ha coinvolto numerosi Enti e Ministeri, e che ha portato all'emersione di 705.138 stranieri provenienti dalla realtà delle colf e delle badanti (343.616) e dal contesto del lavoro subordinato (361.522). Una regolarizzazione, nata per contrastare l'irregolarità ed il lavoro sommerso, che ha di fatto cambiato la stessa composizione della presenza straniera in Italia. Pur confermandosi la policentrica conformazione della presenza immigrata nel nostro Paese - i soggiornati stranieri che vivono e lavorano in Italia provengono da 191 Paesi diversi - la sanatoria ha infatti profondamente mutato i rapporti di forza fra le varie collettività ospitate. In questa graduatoria troviamo al primo posto la Romania, che ha superato lo storico primato del Marocco, e, nelle posizioni di immediato rincalzo, l'Ucraina, una comunità che fino a pochi mesi fa occupava il 23° posto della classifica. In definitiva quindi la presenza degli immigrati regolari in Italia viene a tutt'oggi stimata dall'Eurispes, con un'incidenza sulla popolazione locale pari al 4%, intorno ai 2,6 milioni di individui. Una media inferiore a quella europea, che risulta essere del 5,2%, a cui però vanno aggiunti gli immigrati clandestini che non possono essere censiti dal Ministero dell’Interno. Circa 800.000 irregolari, ipotizza l'Eurispes, che, se calcolati, porterebbero l'incidenza degli stranieri in Italia al 6%. Una presenza ormai stabile, quella degli immigrati, che, per l'Istituto di ricerca, comporta sia problematiche di sicurezza, quasi la metà dei reati in Italia connessi allo sfruttamento ed alla prostituzione sono attribuibili agli immigrati, sia positive implicazioni economiche. Nel 2003, comprendendo i nuovi regolarizzati, l'INPS dovrebbe infatti incassare dagli immigrati contributi per quasi tre miliardi di euro. Per quanto riguarda invece le priorità da considerare ai fini dello sviluppo di politiche d’integrazione, sembra opportuno un invito ed un richiamo ai nostri imprenditori a collaborare e sostenere le pianificazioni regionali in materia di alloggi per gli immigrati.

Ci si riferisce agli interventi previsti dalle Regioni in applicazione della legge sull’immigrazione approvata dal Governo di centro-destra, e delle loro programmazioni triennali nel settore dell'immigrazione che assegnano, in vari casi, priorità di accesso agli alloggi anche agli oriundi italiani che rientrano dai Paesi di emigrazione. L'impegno delle Amministrazioni regionali e degli enti locali sul fronte del reperimento di alloggi, infatti, non deve far pensare ad un'azione sostitutiva rispetto a quanto gli imprenditori sono chiamati a fare in base alla legge sull’immigrazione. Sono i datori di lavoro che devono garantire disponibilità di alloggi per i propri lavoratori stranieri e sostenere quindi i relativi oneri.

Le iniziative pubbliche che saranno realizzate e sviluppate per rispondere alle esigenze abitative degli immigrati non dovranno assumere inoltre forma puramente assistenziale. E’ auspicabile infatti che siano, nell’ambito delle stesse, coinvolti soggetti del terzo settore, anche allo scopo di prevedere azioni di accompagnamento e di inserimento degli immigrati sia sotto il profilo della conoscenza della lingua, sia dell'approfondimento della legislazione italiana a cui devono adeguarsi. La filosofia che sta dietro a questo tipo di realizzazioni si discosta quindi del tutto da quella dei “centri di accoglienza” di vecchia concezione, che hanno creato nella popolazione tanti malumori ed ostilità.

La necessità di uno stretto raccordo tra enti pubblici e mondo dell'economia nell’ambito delle iniziative d’integrazione, risalta anche da un ulteriore punto di vista, quello del credito all’impresa.

Per quantificare il peso finanziario e l’impatto economico della presenza immigrata nella città di Roma la Caritas Diocesana ha realizzato, in collaborazione con la Camera di Commercio della Capitale, una recente ricerca dal titolo "Gli immigrati nell’economia romana: lavoro, imprenditoria, risparmio e rimesse" (Roma 2004). I ricercatori della Caritas hanno tentato d’individuare, attraverso 30 interviste ad altrettanti imprenditori immigrati operanti in vari settori, le difficoltà aggiuntive che le aziende gestite da stranieri devono fronteggiare per essere competitive sul mercato della Capitale. Tra i principali ostacoli da superare troviamo le diffidenze psicologiche, imputabili alla paura degli italiani per la concorrenza degli immigrati, il differenziale etnico-linguistico e soprattutto la difficoltà di accesso al credito. Una mancanza di finanziamenti questa che spinge gli imprenditori stranieri a cercare finanziamenti presso i Paesi d’origine.

Per ciò che concerne la problematica politica generale riguardante la scelta fra l’elaborazione ex novo di “modelli” o con cui affrontare l’immigrazione islamica in Occidente o l’opzione fra quelli finora sperimentati, occorre osservare come l’esempio italiano delle Intese con lo Stato, che ha risolto benissimo i problemi di altre minoranze religiose, è in pratica difficilmente applicabile ai musulmani. Le Intese, infatti, vanno firmate con qualcuno, e l’islam non è una Chiesa né una confessione e non ha leader da tutti riconosciuto. In Italia, l’unico possibile «patto con l’islam», secondo l’opinione del sociologo delle religioni Massimo Introvigne, «è un progetto che aggiri l’ostacolo rappresentato dalle associazioni e, senza escludere la nascita di nuovi soggetti associativi o la lenta evoluzione di quelli esistenti, proponga sul terreno della mediazione politica un’offerta di integrazione diretta anzitutto ai singoli musulmani. Una possibilità è quella del diritto di voto amministrativo per gli immigrati. Ce ne sono altre: per esempio, meno ostacoli e burocrazie perché chi da anni vive e lavora onestamente in Italia possa diventare cittadino italiano. Ma in ogni caso, in una paese che non ha nel suo DNA modelli culturali per il pluralismo, la via politica all’integrazione sembra l’unica percorribile»(Perché l'Italia non può far sua la legge sul velo, “il Giornale”, 20 febbraio 2004).

“Irrinunciabile”, secondo il Rapporto Eurispes prima citato, è il riconoscimento agli immigrati, sia pure con alcuni limiti, del pieno diritto di partecipazione e di rappresentanza alle elezioni amministrative. Quest’ultimo dovrebbe peraltro rappresentare, come ha sostenuto il Sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, solo un «punto di partenza di un percorso difficile e impegnativo di integrazione reale. Che, in Italia come negli USA, passa attraverso il progressivo inserimento nei tempi e con le regole dovute in un quadro di diritti riconosciuti. E che per questo non può non prevedere che l'immigrato in regola faccia un passo dietro l'altro per vivere sempre di meno da separato in casa nel Paese che lo ha accolto. Il voto alle elezioni amministrative proposto dalla destra italiana in coincidenza con la chiusura della regolarizzazione, va esattamente in questa direzione»(Immigrati, da destra lezioni di realismo, “Secolo d'Italia”, 9 gennaio 2004).

Poiché il tessuto sociale di varie realtà locali è, di fatto, diventato multietnico e multiculturale sarebbe importante che agli immigrati extracomunitari che ivi risiedano da almeno un certo numero di anni anche gli Statuti delle Regioni riconoscano forme di partecipazione alla vita democratica come il diritto di voto nelle elezioni amministrative e nei referendum di interesse regionale e locale.


    

 

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