ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Avvenire Domenica 28 aprile 2002



INTERVISTA Il sottosegretario all'Interno: dubbi su modalità e motivazioni degli arresti

 

Mantovano: «Rischio di vendetta? Ma sono poliziotti, non delinquenti»


Milano. È perplesso anche il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano sulle modalità dell'inchiesta napoletana. Anche se, da magistrato, ammette che per particolari situazioni si può motivare anche il mancato preventivo avviso di garanzia.

La posizione del governo, al di là delle prudenze istituzionali, è stata netta. Per quali considerazioni?
«Un elemento che il codice impone di tener presente è il tempo trascorso dai fatti. Qui son trascorsi 13 mesi, ma constato che questo non è valso a evitare un provvedimento così grave».

E nelle motivazioni si paventa la possibile reiterazione del reato sotto forma di vera e propria vendetta. Ipotesi pesante.
«Questo significa presupporre che i corpi di polizia siano costituiti da delinquenti incalliti che si comportano come dei camorristi. È offensivo solo pensarlo. Mi pongo una domanda: due funzionari con ruoli rilevantissimi, sei agenti possono essere considerati alla stregua di soggetti a rischio criminale? A Napoli come poi a Genova c'è stato un disagio di fondo, di fronte alla necessità di fronteggiare un'aggressione violenta di piazza con tecniche di vera e propria guerriglia urbana. E vorrei ricordare che se si parlò in lungo e in largo della mancata convalida di arresti di giovani no global a Genova, mentre la notizia di alcuni mesi dopo, quando la Cassazione confermò che molti di quei «bravi giovani» andavano tenuti in carcere ha avuto in rilievo molto minore».

Per alcuni giovani stranieri arrestati ci fu persino un caso diplomatico.
« Ricordo la visita del ministro degli Esteri tedesco, ma poi un ragazzo descrittoci come bravissimo fu trovato in possesso dei timbri della Cassa di risparmio di Genova, devastata dai no-global».

Lei dice: sembra diventato più facile incriminare i poliziotti dei teppisti.
«Sì, a Genova ci si è limitati all'iscrizione nel registro degli indagati, ora ecco gli ordini d'arresto, mentre resta un mistero la sorte giudiziaria di chi quelle sommosse ha scatenato. Mi sembra un mondo alla rovescia».

Da questo però ai girotondi degli agenti...
«Non giustifico certe manifestazioni, ma arrivo a comprenderle. C'è uno stato di esasperazione in una città caldissima, in cui si lavora in condizioni difficilissime, per problemi gravi di sicurezza e di disoccupazione, e certe scelte giudiziarie fanno pensare».

Il governo sembra impotente di fronte al caso della più grande città del Sud con una questura e una prefettuira delegittimate e una procura, che delegittima entrambe, spaccata in due.
«Napoli sembra diventata il concentrato delle divisioni istituzionali nel nostro Paese. La risposta delle istituzioni dovrebbe essere la più compatta ed efficace possibile. Anche se tenderei a tenere separato l'aspetto giudiziario, con i suoi tempi e i suoi meccanismi. Sul quale confido in una valutazione diversa del Tribunale del riesame, che aiuti a riportare serenità. Il governo, con Fini e Scajola, si è già espresso, ora deve solo mantenere i nervi saldi, rimanendo estraneo a eventuali lotte interne della magistratura, restando vicino alla polizia, ed evitando in questo passaggio delicatissimo, e forse non breve, condanne anticipate».

L'impreparazione della polizia alla protesta di piazza, da Napoli a Genova, è però un dato di fatto.
«Non era facile prevedere fenomeni, per quantità e qualità, superiori anche a Göteborg e Nizza. Ma già la manifestazione di Roma dell'11 novembre a Roma ha mostrato passi avanti nel controllo della violenza. Su entrambi i fronti: da parte della polizia come da parte degli stessi manifestanti».


 

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