ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Avanti
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Venerdì 10 giugno 2005

Piero Flecchia

 

 

 SCAMBIO DI LEADER

 


 

Non soltanto Fini ha dichiarato che voterà tre “Sì” ai referendum sulla fecondazione assistita - come d’altra parte Prodi e Berlusconi dicono che faranno -, ma a differenza dei due leader maximi, ha pure spiegato nell’intervista di mercoledì scorso al “Corriere della Sera” che voterà perché astenersi, e soprattutto fare appello ai cittadini perché non votino, “è diseducativo”, “deresponsabilizza il cittadino”, mentre l’invito a non votare è un “segnale di debolezza politica”. Il grosso dei dirigenti di Alleanza nazionale non l’ha presa per niente bene. L’agricolministro post-rautiano Alemanno ha definito la posizione di Fini “inaccettabile”, mentre Mantovano si è detto “sconcertato”, invece il buon samaritano degli italiani all’Estero, Mirko Tremaglia, per le parole di Fini s’è tutto “addolorato” nell’anima.

Parole parole, parole, cantava Mina in coppia con un noto attore, ma tra tante parole generiche di dolore e amore deluso ecco un tessuto di parole ad articolare una proposta “schiettamente” costruttiva. Le dobbiamo a Publio Fiori; sapienza vera che viene da antica dottrina, il post-diccì di An dopo aver parlato di “pietra tombale sui valori di Fiuggi”, ha detto netto e schietto: “O Fini lascia An o An lascia Fini”. Ma poi, se An lascia Fini come si trova? A dirla netta e schietta, si trova come un cittadino senza scarpe, perché comunque la si rigiri, per camminare politicamente l’elettore di An non può accettare di camminare calzato Alemanno o Tremaglia o La Russa o Fiori o Gasparri. Sarebbero scarpe che per primi si rifiuterebbero di calzare i funzionari del partito, consci che se già con la leadership di Fini An tribola a restare sopra il 10%, con un segretario da scegliere tra gli “inaccettabile”, “sconcertare” e “addolorare”, questa volta si cadrebbe in voti non già sotto il dieci, ma sotto quote bertinottiche.

Come evitare, perduto il leader, di perdere anche i voti? Una soluzione c’è, ed è anche gradita in quei palazzi d’oltre-Tevere che con tanta tenacia gli aennini di rango corteggiano, sulle orme del loro padre nobile Benito. Vada una delegazione di maggiorenti di An in conclave con una delegazione di maggiorenti margheritisti, offrendo uno scambio di segretari: noi vi diamo Fini, e voi ci date Rutelli (che però è ben al di sopra del 10, a voti, ma il suo 12 è ben poco tutto suo, tra Prodi, Marini, Rosy Bindi e compagnia) che a noi piace perché si accontenta di un po’ di pecorino in aggiunta della cicoria come companatico. E se Rutelli esita? Basta domandargli: una persona di una tal eletta coscienza può ancora restare nel centrosinistra? Non solo. I maggiorenti di An per convincerlo hanno una grande carta: il superiore giudizio di Francesco

Cossiga che, commentando la posizione di Fini, ha dichiarato: “Il fascismo in passato ebbe una componente fortemente laica, e ciò che avvicinò il fascismo al nazismo fu il culto dell’uomo con l’orizzonte del superuomo e il culto della razza (…), la considerazione della salute come misura suprema dell’uomo, e cioè tutti valori cui si legano i promotori del ‘Sì’”. Vero che Fini promette solo tre “Sì”, ma - come dice conclusivamente il miliardario di “A qualcuno piace caldo” - nessuno è perfetto. Stanti le rispettive posizioni di Margherita e An sul referendum, ergo sul grande sottinteso etico e fenomenico in gioco - che tende a fare dei rispettivi leader degli estranei alla loro gente, dei riformisti tra gli estremisti -, la soluzione più sensata è proprio lo scambio di leader: Fini alla Margherita e Rutelli ad An, con reciproco vantaggio dei partiti, ma anche dei personaggi, magari conguagliando lo scambio con la giunta di un Marini in più per An.

Rutelli si troverebbe a vedersela, sì, con Casini, ma forte del suo “tutti al mare” e della bella rete di relazioni con il Vaticano costruita nei due mandati da sindaco romuleo a sostenerlo; mentre Fini, per parte sua, potrebbe trovare un partito capace di dargli in prospettiva una base per porsi alla guida di quel polo laico che nel centrodestra sembra oggi di ardua riuscita, dopo l’occasione mancata da Berlusconi quando tutte le carte per una rinascita della gloriosa destra storica liberista e laica sembrava averle in mano. Ci pensino i due partiti e i due leader: non andò forse Mussolini dall’estrema sinistra alla estrema destra secondo opportunità sua?

Ad avvantaggiarsi di una transumanza da centrodestra a centrosinistra dei nostri due leader sarebbe invece questa volta il Paese, che ha assolutamente bisogno di un vero polo laico: mancato dal centrodestra, tocca oggi al centrosinistra progettarlo. Un centrosinistra intorno a un’idea recuperata di socialismo, con la coscienza della sua tradizione storica riformista, compresa quella di Carlo Rosselli, e con un po’ di salsa di quell’intransigentismo azionista che tanto irrita i Ferrara, i ferraristi vari e altri dialettici dell’intransigentismo paralogico dell’origine dell’individuo e sua sacralità, ma solo se porta da tre a cinque stipendi e consulenze annuali e seggi parlamentari.


    

 

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