ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su La Padania
(Sezione:        Pag.     )
venerdì 7 aprile 2006

Roberto Fiorentini

 

allarme fondamentalismo in italia 

  Pisanu: «Sventato attentato a Milano e Bologna»

Volevano colpire prima delle elezioni come in Spagna nel 2004. Decisivo il lavoro dei servizi segreti


 

Roma - Era credibile l’ipotesi di un attentato alla metropolitana di Milano e alla chiesa di San Petronio, a Bologna, da parte di un gruppo di sette maghrebini intercettati dai servizi segreti italiani. Lo ha confermato, ieri, il ministro dell’Interno Beppe Pisanu da Cagliari. «Delle sette persone sospettate - ha aggiunto il responsabile del Viminale - tre sono state espulse con mio decreto, due sono agli arresti, una è sotto controllo e un’altra è ancora ricercata. Il nostro sistema di prevenzione, basato sul controllo asfissiante del territorio e degli ambienti a rischio- ha aggiunto Pisanu - si è rivelato ancora una volta piuttosto efficiente». E nel pomeriggio è intervenuto anche il sottosegretario Alfredo Mantovano che ha spiegato che l’operazione di prevenzione è stata compiuta quando la preparazione dell’attentato era nelle sue fasi iniziali. Due maghrebini sono in carcere con l’accusa di terrorismo internazionale e tre sono stati immediatamente espulsi. Una è ancora sotto controllo, mentre la settima è latitante e, secondo i nostri servizi, sarebbe riuscita a riparare in Francia o in Belgio.

In questo paese, da tempo (quanto meno dal 1998 secondo le indagini delle procure italiane), sono attive cellule del Gruppo Islamico Marocchino Combattente in strettissimi rapporti con i gruppi dislocati soprattutto in Lombardia. Successive inchieste hanno portato alla luce che i “marocchini combattenti” hanno infittito i loro rapporti, dal 2001, anche con i tunisini che, da tempo, controllano, insieme agli egiziani, la moschea di viale Jenner.

L’origine dell’operazione potrebbe essere databile molto prima rispetto all’arresto, avvenuto in Marocco, all'inizio dello scorso mese di novembre. Già tra la fine di giugno e l’inizio di luglio dello scorso anno, i magistrati di Brescia, avevano raccolto, nel corso di una rogatoria internazionale nel paese africano, una rivelazione da parte di un affiliato alla galassia del “Gruppo Islamico” in cui si prevedevano attentati nel nostro paese. Quest’ultimo aveva, per molto tempo, tenuto i contatti, anche secondo la procura di Rabat, con gli esponenti italiani del Gruppo.

La stessa cellula che aveva dato vita, maggio 2003, al terribile attentato a Casablanca. Una rivelazione che, al ritorno della rogatoria, i piemme bresciani avevano sia reso pubblica il 13 di luglio, sia “girata” agli uomini del Sismi. Su questa vicenda si innesta anche un’operazione compiuta dai Ros dei carabinieri tra il settembre e la fine di novembre a carico di alcuni elementi facenti capo al “Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento”. In quell’occasione finirono in manette alcuni algerini. Nel corso di alcune telefonate, parlavano di possibili attentati in Italia in alcune città del nord e a Napoli con una nave carica di esplosivo. E mentre gli algerini discutevano di questo, le autorità greche avevano fermato un marocchino con alcuni documenti falsi.

Il maghrebino aveva ammesso di essere a conoscenza che un emiro vicino al Gia aveva intenzione di far compiere «un attentato in Italia in una città del nord, nei primi mesi dell’anno. In quella chiesa dove c’è il quadro del Profeta». Secondo le indiscrezioni il progetto sarebbe stato confermato dallo stesso emiro a sua volta arrestato in Algeria. L’uomo, sentito dai servizi di informazione del paese nordafricano, aveva confermato di aver dato l’ordine di spargere «fuoco e fiamme sull’Italia».

A confermare che dall’Algeria stavano arrivando ordini ben specifici, c’è anche l’operazione, sempre condotta dai Ros di Milano, nei confronti di un algerino a metà febbraio. L’uomo, residente in un comune del piacentino, aveva utilizzando frasi tipiche del linguaggio jihadaistico mentre parlava con uno zio residente in Algeria. Il suo linguaggio faceva riferimento ad espressioni tipiche dei kamikaze islamici: un suo viaggio a Milano aveva fatto temere che per lui era giunto il momento di immolarsi.

A distanza di tempo emerge ora che le prime informazioni sul gruppo di fuoco islamico, risalirebbero ad oltre un anno fa quando i militari del Sismi avevano intercettato tutta una serie di utenze telefoniche. Con il reperimento dei numeri avevano individuato una serie di uomini che gravitavano tra i fondamentalisti presenti in Francia e in Belgio. A marzo dal Marocco arriva la notizia che un gruppo di affiliati ad Al Qaeda è finito in carcere. Tra questi anche il tunisino Mohamed Benhedi Msahel, residente in Italia, e, secondo l’accusa pianificatore degli attentati in Italia e in Francia. Messo sotto pressione dagli inquirenti svela il piano d’attacco contro la chiesa di Bologna e contro la metropolitana di Milano. È lui, sempre secondo un’agenzia di stampa marocchina, che cita la chiesa contenente l’affresco di Maometto. Le esplosioni sarebbero dovuto avvenire proprio a ridosso delle elezioni politiche prevista per il 9 e il 10 di aprile; imitando, così, quanto avvenuto in Spagna nel marzo del 2004 a poche ore dal voto. Nell’ambito delle dichirazioni di Mashael spuntavano anche i nominativi di altri personaggi già finiti in inchieste milanesi e tenuti sotto controllo dal Sismi.

I riscontri italiani venivano incrociati anche con altre operazioni compiute proprio in territorio francese. Al di là delle Alpi la gendarmeria aveva messo le manette, proprio a dicembre, ad altri sette maghrebini coinvolti in un traffico di esplosivo e di armi da guerra. Gli inquirenti francesi sospettano che la dinamite e i fucili mitragliatori messi sotto sequestro, servissero per le cellule italiane. In questi giorni i magistrati di Bologna e di Milano hanno chiesto e ottenuto, attraverso una rogatoria internazionale, di poter interrogare Mohamed Benhedi Mashel nel carcere marocchino. Nel 2002, un altro gruppo di islamici era finito in carcere perché i carabinieri li avevano scoperti mentre, con una telecamera, all’interno della chiesa bolognese, stavano filmando proprio il dipinto di Giovanni da Modena. In quell’occasione i maghrebini parlavano vicino al microfono della telecamerina intercettato dall’apparato radio dei carabinieri.

Anche la metropolitana di Milano era già finita all’attenzione proprio dei tunisini che nel 2002 avevano preparato un attentato per la fine del mese sacro. In quell’occasione fu il pentito Chokri a rivelare i progetti alla magistratura milanese.


    

 

vedi i precedenti interventi