ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su La Padania Giovedì 9 maggio 2002

di Andrea Accorsi

Lieve pena per egiziano accusato di associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

 

Serviva Osama, condannato a meno di 2 anni


Fare il terrorista in Italia costa meno di due anni di carcere. Questa la condanna inflitta dopo due processi con rito abbreviato a un nordafricano finito alla sbarra con una lista di accuse lunga così. E che accuse: associazione per delinquere finalizzata al traffico di armi, esplosivi e perfino di aggressivi chimici (ricordate l’allarme-epidemie?), ricettazione, contraffazione, utilizzo di documenti falsi e, ancora, favoreggiamento dell’ingresso dei clandestini nel nostro Paese. Insomma, una figura di primo piano del terrorismo internazionale sconterà, con i tempi che corrono, sì e no un paio d’anni di galera, dopo che la giustizia italiana è scesa a patti con lui. Già perché Samir Kishk, 46 anni, egiziano, ha scelto di patteggiare la pena, strappando una condanna a un anno, 11 mesi e 15 giorni di reclusione senza la condizionale. La Procura di Milano lo accusava di far parte, con altri nordafricani, di una cellula legata ad Al Qaida con basi operative a Milano e in altre città nel Nord Italia. L’udienza si è tenuta ieri davanti al gup Antonio Corte, che ha inoltre condannato Kishk a pagare una multa di 580 euro. Lo scorso 3 aprile l’egiziano si era visto respingere da un altro gup, Giovanna Verga, la richiesta di patteggiare la pena a un anno e 10 mesi, sempre senza la condizionale, e di pagare una multa di 1.000 euro.

Il giudice aveva ritenuto inadeguata la pena concordata e aveva rimandato gli atti a un altro giudice per motivi di incompatibilità. Rinviato per ieri a giudizio abbreviato davanti al giudice Corte, l’egiziano è ora riuscito a concordare la pena, appena ritoccata per quanto riguarda la reclusione e addirittura meno severa sul piano pecuniario. Almeno, l’uomo ha dovuto rinunciare alla condizionale: così già ieri è tornato in carcere, anche se il suo difensore ha annunciato che presenterà una richiesta di detenzione ai domiciliari. Samir Kishk fu arrestato nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre scorsi dagli agenti della Polaria all’aeroporto romano di Fiumicino mentre si stava imbarcando su un volo per Parigi. Subito dopo l’arresto, dichiarò che i «fratelli islamici» già finiti in carcere a Milano erano «terroristi». Poi, però, interrogato nell’aula del processo in corso con rito ordinario nei confronti di tre degli imputati, Kishk aveva ritrattato tutto: «Erano cattivi, ma non terroristi». Per gli inquirenti Kishk fa parte del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc), vicino alla rete terroristica che fa capo a Osama Bin Laden.

Secondo gli investigatori, l’egiziano si occupava in particolare del traffico di documenti falsi, soprattutto passaporti, che sono un elemento fondamentale per i terroristi: è grazie ad essi che possono circolare indisturbati, eludendo i controlli delle forze dell’ordine nei Paesi messi in allarme dalla minaccia del terrorismo internazionale. In una intercettazione ambientale del 3 marzo 2001 (circa un mese prima dell’ondata iniziale di arresti), in via Dubini 3, a Gallarate (Varese), dove si trovavano molti esponenti del gruppo, “Saber”, soprannome di Sami Ben Khemais Essid, considerato il capo della cellula, e Kishk, soprannominato “Hammada”, discutevano proprio di documenti. L’egiziano affermava di avere a disposizione 30 passaporti (forse in Francia), Saber diceva di averne bisogno di dieci tunisini «ma ho bisogno - precisava - di passaporti da 28 anni fino a 37 anni».

Rassicurante Hammada aveva risposto: «Tranquillo, c’è tutto». Kishk ha sempre respinto, come ieri, queste accuse e ha sempre affermato che i suoi viaggi tra Italia, Francia ed Egitto erano dovuti all’acquisto della merce che gli serviva per lavorare: faceva il venditore ambulante tra l’Italia e la Francia. Kishk, che ieri era presente all’udienza tenuta a porte chiuse, non ha detto nulla. Come ha riferito il suo difensore, l’avvocato Francesco Marcello, non ha neppure avanzato particolari richieste, come per esempio quella di asilo politico avanzata invece dagli altri nordafricani già condannati o ancora sotto processo. «Si è solo lamentato - ha precisato il legale - perché la polizia egiziana, probabilmente in collegamento con quella italiana, ha fatto alcune irruzioni notturne nella casa della sua famiglia, che è stata danneggiata. La figlia è stata anche lasciata dal fidanzato». Il legale ha poi spiegato che fra un mese chiederà gli arresti domiciliari per il suo assistito: «Dovremo cercare una residenza - ha proseguito l’avvocato - dove eventualmente possa ottenere gli arresti domiciliari».

Che l’Italia fosse una sorta di testa di ponte per i terroristi islamici era risaputo «da almeno un decennio»: lo ha affermato il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, in un intervento registrato e trasmesso alla tavola rotonda sulla “Formazione per la polizia locale”, organizzata a Roma nell’ambito del Forum della pubblica amministrazione. «Era segnalata da almeno un decennio la presenza in Europa, e anche nel nostro Paese, di cellule terroristiche di matrice islamica che hanno usato il nostro Paese come base logistica per realizzare azioni in altri Stati» ha detto Mantovano, che ha aggiunto: «Da questo punto di vista non si può certo dire che l’11 settembre sia stata una sorpresa assoluta».


 

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