ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA Sabato 29 dicembre 2001

Al. Ar.

Il sottosegretario Mantovano: la legge è troppo lassista sulla quantità e confusa sul recupero

«Droga, va reintrodotta la dose media»


ROMA - La nuova proposta sulla droga è in realtà una vecchia proposta di legge, presentata nel marzo del ’97 dall’allora membro dell’opposizione Alfredo Mantovano, di An. Oggi, da sottosegretario al ministero dell’Interno, Mantovano la rilancia nel pieno del dibattito riaperto dal ministro Carlo Giovanardi sulle pene alternative al carcere per i tossicodipendenti. E spiega: «Al primo punto di quella proposta di legge c’è la reintroduzione della dose media giornaliera, quella dose di droga considerata il consumo quotidiano del tossicodipendente. Oltre, prima, c’era il reato di spaccio. Adesso, dopo il referendum del ’93, lo spaccio deve essere dimostrato e si può detenere impunemente anche un quantitativo ingente di droga. Non è possibile».

Quella proposta di legge fu firmata, allora, da 106 parlamentari, quasi tutti del centrodestra e tra loro c’erano molti membri dell’attuale governo. «Da Fini a Scajola, a Giovanardi, Gasparri, Casini, Alemanno, Matteoli, Prestigiacomo, Selva, Buttiglione, Follini», ricorda il sottosegretario Mantovano. E aggiunge: «L’idea di quella proposta era di raddrizzare l’attuale legislazione che è un po’ schizofrenica perché è lassista nella fase iniziale (proprio perché non prevede più la dose media giornaliera) e rigorosa nella fase finale e mi riferisco al percorso di recupero del tossicodipendenti. C’è una strozzatura nella legge Jervolino-Vassalli: troppe volte va stretto il limite dei quattro anni della pena per l’accesso dei detenuti alle comunità. E’ colpa della cumulabilità dei reati che porta a superare questo limite: il problema, infatti, è che le sentenze dei processi arrivano in tempi lunghi, spesso successivi all’ingresso del detenuto nella comunità terapeutica. E allora il tossicodipendente è costretto a tornare in carcere interrompendo il percorso di recupero che ha iniziato in comunità. Il problema si supera introducendo il concetto di continuazione di reato con il comune denominatore della tossicodipendenza».

Era il 1990 quando la legge Jervolino-Vassalli vide la luce. E adesso nel nuovo dibattito lei, l’ex-ministro Rosa Russo Jervolino, entra in punta di piedi: «Da vecchia zia della legge vorrei soltanto dire che al problema della droga bisogna avvicinarsi con molta umiltà, senza schematismi e con un’idea di fondo: il tossicodipendente va aiutato». Oggi, da sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino glissa sul dibattito tecnico e preferisce ricordare, semplicemente: «Dobbiamo essere consapevoli che quando si parla di tossicodipendenti nessuno ha in mano la ricetta. Non possiamo dimenticare che negli anni ottanta le comunità terapeutiche venivano viste molto male. Un laico come Muccioli o cattolici come Don Picchi o Don Gelmini venivano considerati personaggi estrosi, godevano di poca considerazione. Poi l’esperienza ha ribaltato quella visione».

Oggi dalle comunità terapeutiche potrebbe arrivare una nuova soluzione in tema di pene alternative al carcere per i tossicodipendenti. Spiega Michele Vietti, sottosegretario alla Giustizia: «Dobbiamo approfondire e valutare il progetto, per ora sperimentale, che al ministero della Giustizia è stato messo in piedi con la Comunità di San Patrignano di Andrea Muccioli, a Castelfranco in Emilia. Fino ad oggi avevamo il carcere, da un lato, e, dall’altro, la comunità dove i tossicodipendenti detenuti potevano andare grazie alla Jervolino-Vassalli. Il progetto che sta partendo, probabilmente, sarà una terza soluzione per la quale verrà richiesta una modifica normativa».

Qualche giorno fa è stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi a rilanciare il problema delle pene alternative al carcere per i tossicodipendenti. «Che in nessun modo deve essere visto come una depenalizzazione dei reati», sottolinea il sottosegretario Vietti.

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