ALFREDO MANTOVANO

Deputato al Parlamento italiano
Responsabile di AN per i Problemi dello Stato


Ma la mafia esiste

 

Il giudizio dei tribunali dovrebbe essere sempre distinto dal giudizio della politica e della storia; non che la ricerca storica non includa tra le sue fonti gli atti giurisdizionali: ma questi rappresentano, per l'appunto, una delle fonti, non la parola esclusiva e definitiva. Nel processo di Palermo a carico del sen. Andreotti i due piani non sono rimasti separati; anzi, la ricostruzione della trama probatoria si è spesso sovrapposta alla rivisitazione di pezzi della storia italiana più recente: il tentativo di dimostrare l'appartenenza a Cosa nostra del 'ex primo ministro è passato anche dalla rilettura di vicende per le qualli erano sufficienti le lenti del commento politico o dell'approfondimento storico, e non quello dell'analisi giudiziaria preordinata a una sentenza.
L'ingresso nell'aula della V sezione penale del tribunale di Palermo di accadimenti di prevalente peso politico ha dilatato enormente l'oggetto della decisione, di fatto sviando l'oggetto del giudizio dall'accertamento della personale responsabilità del sen. Andreotti a quella di buona parte di una classe politica; ma ora sarebbe altrettanto sbagliato far derivare dall'assoluzione di ieri la beatificazione storica e politica di quel gruppo dirigente.
E' indubbio che il processo è stato fatto a una parte della Democrazia cristiana e ai rapporti che essa ha intrattenuto con la mafia, e agli intrecci con parte dei servizi e con realtà similari esistenti oltre l'Atlantico; le indagini e il dibattimento hanno scavato nelle relazioni fra il sitema di potere di settori del vertice democristiana, unitamente alle loro articolazioni periferiche, e la criminalità orgnizzata. Il peggio che oggi possa accadere è che il dispositivo della sentenza sia la pagina conclusiva e solo il giudizio complessivo che si possa dare a quelle trame.
Un dato strettamente tecnico potrebbe contribuire a scongiurare questo rischio: il riferimento, nello stesso dispositivo, al comma 2 dell'articpolo 530 del codice di procedura penale. E' un riferimento che si fa quando si intende sottolineare la sussistenza a carico dell'imputato di indizi o di prove che tuttavia non vengono reputati sufficienti per giungere a una condanna.
Traduzione politica: fra l'andreottismo, soprattutto in Sicilia, e Cosa nostra non c'era un muro divisorio insuperabile; c'erano al contrario zone grigie, per usare un eufenismo. Questo tipo di relazioni non sono tali da leggittimare una condanna per mafia del sen. Andreotti; ma nessuno può sostenere a occhi aperti che personaggi come L'on. Salvo Lima o come i fratelli Salvo, o come Ciancimino, per ricordare i più noti, agissero in assoluta trasparenza e impermeabilità rispetto al contesto nel quale erano inseriti, nè che ciò avvenisse all'insaputa, e comunque senza il consenso, del capocorrente romano.
La sentenza di ieri pone una sorta di semaforo rosso al tentativo di ricostruire per via giudiziaria il << terzo livello>>politico di Cosa nostra: un tentativo che ha visto impegnati per anni uomini, energie e mezzi, spesso a scapito di indagini e di processi che avrebbero potuto approfondire altri aspetti relativi alla penetrazione mafiosa della finanza, dell'economia e della vita sociale siciliana, un tentativo che si è scontrato quasi esclusivamente nell'assembleare voce dei << pentiti >> , rinunciando di fatto all'acquisizione di elementi probatori di altro tipo. Oltre al rischio, che ora dopo ora diventa realtà, di porre l'aureola all'andreotti politico, c'è allora un rischio ulteriore: quello di ripercorrere una strada che riporta indietro di trent'anni, allorchè procutratori generali siciliani, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, sostenevano che la mafia non esisteva, o che comunque non insidiava i gangli della società isolana.
La sconfitta della ricerca del <<terzo livello>> politico, anche oltre i confini della Sicilia, non può e non deve diventare rinuncia al contrasto attuale degli aspetti più pericolosi della criminalità di tipo mafioso, dentro e fuori la SICILIA; questo contrassto deve anzi riprendere con maggiore forza, utilizzando tutti i possibili strumenti di indagine, e non solo i <<pentiti>>. Deve puntare alla individuazione delle fonti finanziarie dei traffici criminali: per il che l'approfondimento dei flussi bancari, per esempio, serve molto di più dell'ascolto acritico delle delazioni quotidiane. Deve stroncare l'accaparramento degli appalti a opera della famiglie mafiose: ancora pochi mesi fa una parte consitente degli appalti nei Cantieri navali di Palermo venivano vinti da microaziende facenti capo ai clan della zona di Acquassanta, nell'assoluta indifferenza - nella migliore delle ipotesi- di una holding pubblica a capitale statale come Fincantieri; perchè le indagini giudiziarie hanno lambito solo in parte questa realtà? Deve espellere i riferimenti logistici del malaffare: il funzionario della Regione siciliana è stato ucciso qualche settimana fa perchè aveva segnalato i nomi di chi, all'interno della Regione, rappresentava l'anello di collegamento di Cosa nostra. Purtroppo la mafia esiste, e opera con efficacia, pur se talora con modalita meno cruente.

 Alfredo Mantovano

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